Investire all'estero: opportunità e sfide per le imprese italiane

Investire all'estero offre diverse opportunità, tra cui la riduzione dei costi di produzione, la diversificazione del rischio, l'accesso a nuovi mercati e il rafforzamento del potere contrattuale. Tuttavia, gli investimenti esteri comportano anche dei rischi, per tutelarsi dai quali le imprese italiane possono avvalersi di strumenti assicurativi e finanziari ad hoc, come quelli offerti da SACE. Scopri di più!

Il ruolo molto rilevante delle imprese multinazionali nell’economia italiana e l’internazionalizzazione delle aziende nazionali rappresentano la dimensione più immediatamente leggibile della globalizzazione produttiva che ha caratterizzato gli ultimi decenni, con l’estensione geografica delle catene del valore, che ha dato un forte impulso alla crescita del commercio internazionale.

Se, per quanto riguarda l’attrazione di Investimenti Diretti Esteri (IDE) dall’estero, il nostro Paese si colloca come fanalino di coda in Europa, con flussi in entrata decisamente più esigui rispetto ai principali competitor del Vecchio Continente un discorso analogo può essere fatto in relazione agli IDE in uscita.

Sebbene nell’ultimo trentennio l’internazionalizzazione produttiva dell’Italia sia cresciuta significativamente e l’Italia sia oggi divenuta un investitore netto (523,7 miliardi di euro stock di IDE in uscita nel 2022 contro 430,3 miliardi in entrata  - Banca d’Italia) lo è in misura molto minore rispetto alle altre maggiori economie europee: mentre la quota sul totale mondiale degli IDE della Germania è del 5,1% e quella della Francia del 3,9%, quella dell’Italia si ferma all’1,5% (elaborazione ISTAT su dati UNCTAD).

Va sottolineato, tuttavia, che nello stesso anno, gli investimenti diretti italiani all'estero hanno registrato un rimbalzo del 78%, attestandosi a 20 miliardi di dollari. Un dato che si confronta favorevolmente con la media europea del 27% e inverte il trend negativo del 2021, quando il saldo era stato gravato da un passivo di 9 miliardi di dollari a causa della pandemia. Questo rilancio sottolinea la capacità di resilienza delle imprese italiane e la loro propensione a cogliere le opportunità sui mercati internazionali.

In questo articolo parleremo di: 

  • ruolo degli IDE verso l'estero;
  • come si colloca l'Italia all'estero;
  • perchè investire all'estero;
  • come proteggere i tuoi investimenti con SACE 

 

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Investire all'estero offre diverse opportunità, tra cui la riduzione dei costi di produzione, la diversificazione del rischio, l'accesso a nuovi mercati e il rafforzamento del potere contrattuale. Tuttavia, gli investimenti esteri comportano anche dei rischi, per tutelarsi dai quali le imprese italiane possono avvalersi di strumenti assicurativi e finanziari ad hoc, come quelli offerti da SACE. Scopri di più!

Il ruolo molto rilevante delle imprese multinazionali nell’economia italiana e l’internazionalizzazione delle aziende nazionali rappresentano la dimensione più immediatamente leggibile della globalizzazione produttiva che ha caratterizzato gli ultimi decenni, con l’estensione geografica delle catene del valore, che ha dato un forte impulso alla crescita del commercio internazionale.

Se, per quanto riguarda l’attrazione di Investimenti Diretti Esteri (IDE) dall’estero, il nostro Paese si colloca come fanalino di coda in Europa, con flussi in entrata decisamente più esigui rispetto ai principali competitor del Vecchio Continente un discorso analogo può essere fatto in relazione agli IDE in uscita.

Sebbene nell’ultimo trentennio l’internazionalizzazione produttiva dell’Italia sia cresciuta significativamente e l’Italia sia oggi divenuta un investitore netto (523,7 miliardi di euro stock di IDE in uscita nel 2022 contro 430,3 miliardi in entrata  - Banca d’Italia) lo è in misura molto minore rispetto alle altre maggiori economie europee: mentre la quota sul totale mondiale degli IDE della Germania è del 5,1% e quella della Francia del 3,9%, quella dell’Italia si ferma all’1,5% (elaborazione ISTAT su dati UNCTAD).

Va sottolineato, tuttavia, che nello stesso anno, gli investimenti diretti italiani all'estero hanno registrato un rimbalzo del 78%, attestandosi a 20 miliardi di dollari. Un dato che si confronta favorevolmente con la media europea del 27% e inverte il trend negativo del 2021, quando il saldo era stato gravato da un passivo di 9 miliardi di dollari a causa della pandemia. Questo rilancio sottolinea la capacità di resilienza delle imprese italiane e la loro propensione a cogliere le opportunità sui mercati internazionali.

Come si colloca l’Italia all’estero?

Secondo l’ultimo rapporto dell’ISTAT “Struttura e competitività delle imprese multinazionali” pubblicato a novembre 2023, nel 2021 le multinazionali italiane confermano la presenza all'estero in 172 Paesi con 24.887 controllate estere, che occupano meno di 1,7 milioni di addetti (-2,3% rispetto al 2020) e fatturano 477 miliardi (-4,5%). Il calo è dovuto esclusivamente a cambiamenti nella proprietà, che da italiana diventa estera.

Le affiliate all'estero di multinazionali italiane realizzano il 37,3% del loro fatturato su mercati diversi dal Paese di localizzazione dell’impresa. In particolare, si confermano quote notevoli di fatturato nelle esportazioni verso l’Italia nei settori tradizionali del made in Italy: 44,9% per le industrie tessili e confezione di articoli di abbigliamento, 35,4% per la fabbricazione di articoli in pelle e 25,5% per la fabbricazione di mobili e altre industrie. In questo caso, appare evidente come la motivazione alla base dell’investimento all’estero risieda nella possibilità di ottimizzare i costi delocalizzando la produzione.

La quota di fatturato destinata al Paese estero in cui è realizzata la produzione è invece particolarmente rilevante nella fabbricazione di macchine e apparecchiature (73,1%) e nella fabbricazione di apparecchiature elettriche e per uso domestico non elettrico (70,8%), a testimonianza dell’importante ruolo che svolge l’Italia nelle catene di subfornitura globali.

Per le controllate estere di gruppi multinazionali italiani, gli Stati Uniti perdono il primato come principale Paese di localizzazione degli investimenti italiani all’estero per le attività industriali e in testa alla graduatoria troviamo la Romania (oltre 90mila addetti) seguita dalla Cina (oltre 69mila). Per il settore dei servizi al primo posto figura il Brasile (oltre 81mila addetti), seguito dagli Stati Uniti (oltre 72mila addetti) e dalla Germania (oltre 64mila).

Nel biennio 2022-2023, rispetto al precedente, aumenta la propensione all’investimento estero dei gruppi italiani di grande dimensione, dell’industria (+4,4%) e dei servizi (+13,2%).

Il 51,1% dei principali gruppi multinazionali italiani attivi nell’industria (+4,4% rispetto al biennio precedente) e il 53,8% di quelli dei servizi (+13,2%) hanno realizzato o progettato per il 2022-2023 (biennio preso in considerazione dalla rilevazione sulle attività estere delle imprese a controllo nazionale) un nuovo investimento per attività di controllo all’estero.

L’Ue si conferma la principale area di localizzazione dei nuovi investimenti di controllo all’estero delle multinazionali italiane sia nell’industria (24,6%) sia nei servizi (34,6%). I gruppi del settore dell’industria a seguire scelgono Stati Uniti e Canada e altri Paesi AsiaticiVicino e Medio-OrienteOceania (16,5%). Nei servizi seguono gli altri Paesi Europei (con il 17,2%) e Stati Uniti e Canada (14,2%).

I nuovi investimenti di controllo all’estero realizzati o progettati nel 2022-2023 sono finalizzati, tanto per le imprese industriali che per quelle attive nei Servizi, soprattutto alla produzione di merci e servizi (35,9% e 31,8% rispettivamente) e alla distribuzione e logistica (26,6% e 21,1%).

Perché investire all’estero?

Secondo un’indagine realizzata da ISTAT nell’ambito del rapporto su menzionato, per il 76,8% dei gruppi multinazionali italiani dell’industria e per il 79,2% di quelli attivi nei servizi la motivazione prevalente per nuovi investimenti all’estero è:

  • la possibilità di accedere a nuovi mercati;
  • l’aumento della qualità o sviluppo di nuovi prodotti (21,8% e 29,1% rispettivamente);
  • l’accesso a nuove conoscenze o competenze tecniche specializzate (19,3% e 21,5%).

Ma oltre a questi, ci sono tanti altri motivi per i quali potrebbe essere vantaggioso investire all’estero:

  • riduzione dei costi di produzione: in alcuni Paesi, i costi di manodopera, delle materie prime e dell'energia possono essere significativamente inferiori rispetto al mercato nazionale. Questo può portare ad un aumento dei margini di profitto e della competitività dell'impresa;
  • diversificazione del rischio: espandendo il proprio business in mercati esteri, l'impresa riduce la sua esposizione al rischio economico del proprio Paese d'origine. In caso di crisi economica nazionale, infatti, l'impresa potrebbe comunque beneficiare dei risultati positivi delle sue attività all'estero;
  • sfruttamento dei benefici fiscali: diversi Paesi offrono incentivi fiscali alle imprese straniere che investono sul loro territorio. Questi incentivi possono includere riduzioni delle imposte sui redditi, crediti d'imposta o esenzioni fiscali;
  • miglioramento della brand reputation: un'impresa con una presenza internazionale gode di maggiore prestigio e visibilità, rafforzando la sua brand reputation a livello globale;
  • rafforzamento del potere contrattuale: un maggiore volume di produzione e una maggiore presenza sul mercato possono dare all'impresa un maggiore potere contrattuale nei confronti dei fornitori, dei clienti e dei concorrenti.

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