Le PMI del Mezzogiorno: gli ultimi dati e le prospettive
Ecco cosa emerge dallo studio realizzato da Confindustria in collaborazione con Cerved in relazione allo stato di salute del tessuto economico dell’Italia meridionale, diviso tra una timida ripresa perdurata fino al 2017 e una fase di rallentamento che ha dato le prime avvisaglie a partire dal 2018 e che, secondo le previsioni, rischia di aggravarsi nel futuro prossimo.
Secondo gli ultimi dati disponibili risalenti alla fine del 2018, nel Sud Italia sono presenti un totale di 1,7 milioni di imprese. Di queste, circa 320 mila, ovvero il 18,8% del totale, sono società di capitali e sono costituite per la maggior parte da imprese di dimensioni modeste, con un numero di lavoratori che varia da 1 a 9 addetti. Tuttavia, una fetta importante e in aumento di quest’ultime è costituita da aziende di capitali che hanno tra i 10 e i 250 addetti e generano un fatturato compreso tra i 2 e i 50 milioni di Euro.
Quest’ultimo aggregato di aziende costituisce un’ottima base di partenza per effettuare un’analisi dello stato di salute del tessuto economico del meridione, in quanto risulta particolarmente rappresentativo dello stesso, ed è proprio per questa ragione che lo studio condotto da Confindustria e Cerved analizza l’andamento specifico di questo gruppo di soggetti economici.
Il primo importante dato da evidenziare è come il campione preso in considerazione, dopo la crisi degli anni passati, sia tornato a crescere con il numero di società di capitali con le caratteristiche sopra citate in ascesa a partire dal 2015 e tornando dopo due anni a superare quota 30 mila unità, livello superiore al totale misurato nei periodi pre-crisi.
Altro dato particolarmente rilevante è costituito dal valore economico generato da questo particolare gruppo di soggetti imprenditoriali. Secondo gli ultimi dati disponibili, queste 30 mila imprese hanno prodotto complessivamente quasi il 10% del Pil del Sud Italia, con un fatturato complessivo che ha quasi raggiunto nel 2016 i 137 miliardi di Euro.
Le PMI del Mezzogiorno a confronto con le altre
Tuttavia, se si confrontano i dati delle imprese del Meridione con i dati a livello nazionale si rileva che le aziende del Mezzogiorno ricoprono solo una quota pari al 18,5% del totale delle imprese presenti sul territorio italiano e generano il 15% del fatturato e del valore aggiunto del resto del Paese. Da questo primo elemento scaturisce con evidenza come le società meridionali abbiano un importante gap in competitività rispetto alle restanti imprese nazionali, soprattutto se considerato che l’indebitamento finanziario è percentualmente molto simile tra i soggetti economici del Mezzogiorno con quello del resto d’Italia.
Tra le cause che producono questo divario, la principale è da imputare alla diversa conformazione settoriale del tessuto economico del Sud, dove si rileva una maggiore presenza di aziende nei settori dell’agricoltura, delle costruzioni e dei servizi, mentre più ridotta è la presenza di realtà industriali, fattore questo aggravato dai dati sulle tendenze, che vedono una sempre maggiore rilevanza delle società di servizi e un minor peso di quelle industriali, quest’ultime viste invece in crescita su scala nazionale.
Altri dati rilevanti evidenziano la minore presenza al Sud di aree di specializzazione industriale rispetto alla media nazionale. Infatti, al Sud Italia possiamo trovare solo il “Sistema moda” in Abruzzo, Campania e Puglia, il “Sistema casa” in Puglia, la lavorazione del metallo e l’elettromeccanica in Abruzzo, i beni di largo consumo in Molise e Sardegna, le costruzioni in Basilicata, i servizi in Sardegna, Sicilia e Calabria. In aggiunta, anche causa delle tipologie di beni e servizi prodotti, il tessuto economico del Meridione presenta un’elevata e crescente intensità di lavoro, soprattutto nelle 30 mila realtà prese in esame, con 743 mila occupati, di cui il 56,7% in piccole aziende e in forte crescita nel 2016, con un +10% di occupati rispetto all’anno precedente e in particola modo in Campania, dove gli occupati sono cresciuti del +20,8%.
Le performance economiche
L’incremento rilevato all’interno del campione del numero di occupati riflette come tali realtà imprenditoriali siano saldamente agganciate alla generale ripresa economica registrata fino al 2017, anno al quale fanno riferimento gli ultimi bilanci disponibili delle PMI.
Secondo questi dati, il fatturato e il valore aggiunto generati registrano per il quinto anno consecutivo una crescita di poco inferiore alla media nazionale, e comunque a livelli nominali superiori a quelli prima della crisi.
Di tutt’altro andamento il margine operativo lordo, che è sì in crescita (+0,5%) ma ben distante rispetto al dato registrato a livello nazionale (+3,6%). Per di più, il MOL non ha ancora raggiunto la quota pre-crisi, ancora distante 33 punti da tale livello e 13 punti da quello nazionale.
Ulteriore elemento che pesa sulle performance delle PMI del mezzogiorno è il costo del lavoro che nel 2017 ha segnato un incremento più che proporzionale rispetto al valore aggiunto generato, con un CLUP che ha raggiunto nel periodo quota 69,8%.
In percentuale rimangono stabili gli utili, pari al 4,2% del fatturato, ma comunque inferiori rispetto alla media nazionale, pari al 4,9% e in lieve aumento rispetto all’anno precedente, come la redditività del capitale proprio investito che rimane sostanzialmente stabile al 9,6%, ma distante dal ROE registrato mediamente nelle PMI nazionali del 11,2%.
Il profilo finanziario delle aziende del Meridione
Sotto il profilo finanziario la situazione per le Pmi del Mezzogiorno appare in miglioramento, proseguendo infatti il trend positivo iniziato nel 2012. Tra i principali aspetti da osservare sotto questo punto di vista, si registra l’incremento del capitale proprio, aumentato del 6,8% rispetto al 2017, che ha consentito di abbattere il peso rappresentato dai debiti finanziari rispetto al capitale netto, che è diminuito dal 127% del 2007 fino al 77,8% del 2017.
Nel periodo preso in considerazione per l’analisi, un altro aspetto che ha favorito il consolidamento finanziario delle piccole e medie imprese meridionali è stato la politica accomodante della Banca Centrale Europea, che ha prodotto bassi tassi di interesse, potendo così registrare nel periodo un calo dal 4,6% al 4,1% del rapporto tra oneri e debiti finanziari, riducendo inoltre il differenziale rispetto al resto del Paese.
Di conseguenza, anche il rapporto tra gli oneri finanziari e il MOL risulta in calo, toccando addirittura nuovi minimi (15,6%) e non lontano dal dato registrato su base nazionale (12,1%).
Sebbene la situazione finanziaria sia in miglioramento, si registra che non tutte le PMI meridionali riescono ad accedere alle varie forme di credito disponibili, come dimostrato dall’andamento dei debiti finanziari, che nel periodo risultano pressoché in parità (+0,4% rispetto all’anno precedente).
Nonostante ciò, da quanto risulta dal Cerved Group Score delle PMI, è migliorata l’affidabilità creditizia delle imprese meridionali, con un incremento a dicembre 2018 del numero di Piccole e Medie Imprese in area di solvibilità e sicurezza, mentre sono calate quelle più deboli e quelle a più elevato rischio creditizio.
Arrivano però anche i primi campanelli di allarme, con le PMI che vedono il proprio punteggio di credito in peggioramento (dal 25,6% al 26,7%) e in diminuzione anche il tasso di nuove aziende che invece migliorano questo score, confermando tuttavia il divario con il resto del Paese, dove le Imprese che si classificano ”sicure” o “solvibili” risultano il 66,8%, contro il 50,3% di quelle del Sud Italia.
Questi cambiamenti rispecchiano il rallentamento generale dell’economia rilevato nell’ultima fase del 2018, testimoniato inoltre dall’aumento nei giorni di ritardo dei pagamenti.
Altro campanello di allarme è relativo alle chiusure delle aziende, che nel 2018 sono in aumento per la prima volta dal 2014, con un +5,3% di fallimenti, mentre la media nazionale prosegue con un trend in diminuzione.
Ulteriori fattori di preoccupazione sono rappresentati dall’aumento delle liquidazioni volontarie in bonis, in ascesa del +5,1% nel 2018 rispetto all’anno precedente, e dalla diminuzione del tasso di ingresso in sofferenza, pari solo al 3,3%. In conclusione, tutti questi segnali, seppur contenuti, rilevano come la situazione finanziaria e le prospettive economiche future siano in peggioramento.
Focus sulle PMI nell’industria
Un segnale incoraggiante che arriva dalle Piccole e Medie Imprese di capitali del Meridione è dato dal ripopolamento del segmento industriale, che rappresenta un sesto del totale delle PMI del Mezzogiorno. Tuttavia, questa ripresa è molto lenta, e non consente di ritornare ai livelli pre-crisi, con ancora un 18% in meno di Piccole e Medie Imprese del settore industriale rispetto al 2007.
Nonostante ciò, il numero di soggetti attivi prosegue nella risalita (+2,2%), con particolare riguardo per Campania e Puglia, che si confermano le due principali regioni per il settore manifatturiero nel Sud Italia.
Per quanto riguarda invece le performance generate dalle società industriali, si rilevano dati sostanzialmente in linea con quelli complessivi registrati nell’economia del territorio: aumenta il fatturato del +4,3% e crescono più lentamente i margini del +0,7%.
Finanziariamente invece, si registra una maggiore dipendenza dal credito bancario dell’imprenditoria manifatturiera del Mezzogiorno, con debiti finanziari pari all’85,9% del capitale proprio, rispetto al 60,2% del dato nazionale, così come il peso degli oneri finanziari rispetto ai margini (17,2%) resta 7 punti superiore alla media nazionale.
Dal lato affidabilità creditizia prosegue il trend in miglioramento, con il 54,8% delle realtà imprenditoriali del Sud Italia nel settore dell’industria che raggiungono a dicembre 2018 uno score di sicurezza o di affidabilità e continuano a diminuire le PMI che si classificano come vulnerabili o rischiose.
In generale il miglioramento delle performance continua ma l’andamento si fa meno intenso: anche in questo caso infatti si registra il leggero aumento dei ritardi di pagamento dei fornitori.
La lentezza nel recupero dei valori perduti con la crisi si conferma, dunque, la principale criticità del tessuto imprenditoriale del Mezzogiorno.
Disuguaglianza interne nel Meridione
Oltre alle ricorrenti e spesso profonde divergenze tra il Mezzogiorno e il resto del Paese, si rilevano alcune differenze interne nel Meridione, con un primo gruppo di regioni, composto da Campania, Puglia, Basilicata, e Calabria, che mostra un andamento dei principali indicatori di risultato maggiormente positivo nel medio periodo; e un secondo gruppo, composto delle restanti 4 regioni, che le vede posizionarsi agli ultimi posti del ranking per i risultati conseguiti.
Da un lato, le regioni del primo gruppo sembrano aver superato meglio il periodo di crisi degli anni passati, mentre dall’altro, la diminuzione della presenza imprenditoriale è risultata più importante in questo stesso gruppo e attualmente il recupero appare più lento.
Prospettive future
Questi fattori evidenziano come si sia raggiunto un punto critico: se fino al 2017 si poteva rilevare una ripresa generale del tessuto economico, con l’avvento del 2018 si sono iniziati a vedere i primi segnali di rallentamento dell’economia, che potrebbero colpire, specialmente al Sud Italia, un sistema imprenditoriale che è sì uscito dalla crisi con un maggior grado di solidità economico-finanziaria, ma che non è riuscito ancora a raggiungere un livello di redditività tale da assicurane la buona tenuta dell’intero tessuto economico in caso di ulteriori peggioramenti a livello macro-economico.
In un contesto di questo genere, al fine di migliorare la resistenza del sistema imprenditoriale locale, sono necessari alcuni interventi, che devono necessariamente poggiare su tre diversi fattori:
- la capitalizzazione e lo sviluppo dimensionale delle realtà economiche;
- l’apertura del capitale;
- una maggiore propensione all’esportazione per le realtà economiche attualmente attive sul territorio.
Riguardo i primi due punti, bisogna ammettere che negli ultimi anni il capitale proprio delle PMI del Meridione è risultato in crescita. Tuttavia il tasso al quale è aumentato tale indicatore rimane al di sotto della media nazionale, arrivando così a raggiungere mediamente al Sud un valore di capitale netto pari a 2,8 milioni, mentre nel resto del Paese la media arriva a toccare i 3,2 milioni di euro. Questa differenza è da imputare principalmente alle aziende di medie dimensioni, che vedono un capitale netto per un valore medio di 5,7 milioni di euro, che risulta nettamente più basso rispetto alle realtà simili nel Centro-Nord, dove le società di questa categoria raggiungono un capitale proprio medio di poco inferiore agli 8 milioni di euro.
Come favorire la crescita delle PMI del Sud
È necessaria quindi un’azione che promuova la convergenza, ovvero che spinga le PMI del Meridione ad un più veloce allineamento con quelle del resto del Paese al fine di colmare il divario che separa quest’ultime da quelle del resto dell’Italia.
Tuttavia, per consentire un’azione di questo genere sulle realtà meridionali è necessario immettere nel tessuto economico del Mezzogiorno ingenti somme di capitali, oltre all’introduzione di nuove competenze nelle aziende e un maggiore propensione al rischio, fattori quest’ultimi non particolarmente diffusi nelle imprese del Mezzogiorno, soprattutto in quelle realtà a carattere familiare, tipologia societaria quest’ultima particolarmente presente al Sud rispetto alla media nazionale, con un 74% di diffusione contro il 67% del resto del Paese, e particolarmente più concentrate in Campania, dove la percentuale arriva a toccare il 77%.
Altro aspetto rilevante è l’elevata presenza di piccole e medie imprese definite come “chiuse”, in cui tutti i soci e manager fanno riferimento alla famiglia proprietaria che ne esercita il controllo, e che al Sud sono il 42,9%, contro la media nazionale al 36,1%.
Aprire la compagine societaria ad investimenti nel capitale netto da parte di fondi di private equity o quotandosi, potrebbe portare a un risvolto positivo in termini di Prodotto Interno Lordo generato dal sistema imprenditoriale del Mezzogiorno, con un incremento del PIL del Sud Italia nel medio periodo fino a 3,4 punti percentuali in più, effetto che genererebbe risvolti ancora maggiori in regioni a più elevata presenza imprenditoriale come la Campania.
Per quanto concerne la propensione all’internazionalizzazione, è innanzitutto necessario considerare che, delle 30 mila aziende analizzate, poco meno di 2.500 imprese risultano particolarmente rivolte verso i mercati esteri, ovvero solo l’8,7% del totale preso in analisi. Sarebbe opportuno puntare maggiormente sul fattore export, in quanto le PMI maggiormente orientate verso le esportazioni hanno fatto registrare performance di bilancio nettamente migliori rispetto alle altre realtà non internazionalizzate. Nello specifico, tra il 2009 e il 2017, il valore aggiunto prodotto dalle aziende presenti all’estero è stato 11 punti percentuali più elevato rispetto alla media delle PMI meridionali, che hanno visto al contrario una battuta di arresto nel 2017, con una crescita pari al +1,9%. Inoltre, si rileva che le potenzialità per molte imprese attualmente non internazionalizzate sarebbero molto interessanti e potrebbero generare dei ritorni economici considerevoli per queste realtà.
La diminuzione del tasso di crescita del valore aggiunto prodotto costituisce un ulteriore campanello di allarme relativo al rallentamento economico in corso nell’area. Per il 2019 inoltre, i sentori di preoccupazione derivanti dai dati di bilancio delle imprese del Mezzogiorno trovano conferme nelle previsioni relative all’anno in corso e gli anni futuri. Nello specifico, si prevede per il biennio 2019-2020 un fatturato e un valore aggiunto delle imprese del Meridione in crescita, ma a un tasso ridotto rispetto agli anni passati e più contenuta in relazione alla media nazionale prevista. Per di più, i margini che fino al 2017 si sono dimostrati sostanzialmente stagnanti, potrebbero rallentare ulteriormente, arrivando a registrare una contrazione nel 2019, mentre gli indicatori di sostenibilità finanziaria sono visti ancora in stabilizzazione seppur ancora lontani dall’eliminare il gap con il resto del Paese.
In questo contesto, appaiono dunque necessarie ed urgenti le politiche di contrasto a questo rallentamento in atto, capaci di rafforzare il tessuto economico del Mezzogiorno, in modo tale da scongiurare ulteriori rallentamenti della ripresa economica, avviatasi dopo il picco degli anni della crisi.
Conclusioni
In conclusione, dal rapporto sulle PMI del Meridione emergono due differenti fasi che contraddistinguono il tessuto economico meridionale: da una parte si è registrata una ripresa economica fino al 2017 e dell’altra, la rilevazione di un rallentamento del sistema industriale del Sud Italia a partire dal 2018, accompagnato dalle prospettive economiche future non certamente promettenti.
In aggiunta, alcuni fattori di preoccupazione sono da indicare riguardo le prospettive future. Per la prima volta dal 2012 infatti, si è invertito il trend positivo riguardo la nascita di nuove imprese di capitali, con mille aperture in meno rispetto all’anno precedente, ovvero il -3%, rappresentando così la prima battuta d’arresto per il ripopolamento del sistema imprenditoriale del Meridione.
Come se non bastasse, la nascita e l’aumento delle imprese sul territorio è fortemente ostacolato da un elevato tasso di mortalità delle nuove realtà imprenditoriali, che spesso si trovano a chiudere dopo solo un anno di attività, circostanza che colpisce in media il 55% dei casi.
Nonostante le difficoltà, sono presenti e attive al Meridione alcune misure che cercano di stimolare la nascita e la crescita di nuove imprese, con particolare focus per i giovani meridionali. Una di queste è la misura “Resto al Sud”, che promuove appunto l’apertura di attività da parte dei giovani del Mezzogiorno e che ha suscitato un discreto interesse da parte di quest’ultimi, come testimoniato dall’ottimo grado di presenza nei vari appuntamenti del roadshow di presentazione e promozione di tale incentivo.
Tuttavia, al contrario di quanto si potrebbe pensare, il vero problema del Sud Italia non è costituito da una mancanza di capacità e uno spirito imprenditoriale, quanto più la difficoltà nell’attivare processi di trasformazione dimensionale delle realtà imprenditoriali, che mostrano notevoli criticità nel passare da micro a piccole, da piccole a medie e da medie a grandi aziende. In questo contesto dunque, l’obiettivo di fondo per scongiurare un nuovo rallentamento dell’economia più marcato nel tessuto economico meridionale sarà, come già indicato in precedenza, “l’apertura” di dei soggetti imprenditoriali, intesa come apertura culturale, apertura del capitale ai potenziali investitori ed infine apertura ai mercati internazionali.
Sono necessari in quest’ottica azioni mirate da parte delle istituzioni, al fine di accrescere le competenze e le componenti culturali interne delle PMI del Meridione, attraverso specifici percorsi formativi che vadano a concentrarsi sugli aspetti finanziari, manageriali e verso l’internazionalizzazione delle imprese, tutti aspetti particolarmente necessari per lo sviluppo delle realtà del Sud Italia, che avrebbero notevoli ripercussioni positive sull’intero tessuto economico, oltre a interventi di sostegno a carattere economico finanziario che favoriscano lo sviluppo dimensionale delle stesse, come i PIR, o gli incentivi per le start up e le PMI innovative, o i mini-bond, già presenti e funzionanti. Tuttavia, l’eliminazione dell’ACE ha fatto venir meno lo strumento maggiormente propedeutico a sostenere il rafforzamento della struttura patrimoniale delle imprese e dell’intero sistema produttivo italiano.
In estrema sintesi, dopo un primo segnale di ripresa, caratterizzato da risultati economici incoraggianti, lo scenario economico meridionale comincia ad essere più cupo, e il ritmo della ripresa si fa più affannoso e inizia a dare i primi segnali di cedimento.
Al Meridione dunque serve un maggior numero di Piccole e Medie Imprese eccellenti, ovvero più robuste e solide, più capitalizzate, più aperte e maggiormente internazionalizzate per veder aumentare nuovamente i principali indicatori economici di crescita.