Made in Italy: miti, sfide e strategie
In questo articolo parleremo di:
- I rischi del Made in Italy: dall'Italian Souding al declino?
- Come proteggere l'italianità dei prodotti;
- Strategie marketing da adottare;
Nel marketing internazionale esiste un’ampia letteratura che analizza l’effetto che la provenienza di un prodotto, o brand, ha sul giudizio della domanda rispetto all’offerta. Sono sicuramente numerosi i fattori in grado di influenzare il consumatore, e tra questi un’importante variabile da prendere in considerazione quando si esporta il proprio prodotto è il cosiddetto Country Of Origin effect (COO effect) cioè l’effetto paese che lega i prodotti di un Paese ad una rete di stereotipi condivisi dalla collettività. Secondo questa teoria, un prodotto è valutato positivamente o negativamente a seconda delle associazioni emotive legate alla sua nazione di provenienza.
In questo l’Italia è piuttosto agevolata. Se, ad esempio, si pensa ai prodotti cinesi, il pensiero corre subito a prodotti di scarsa qualità e di mediocre fattura, al contrario il “Made in Italy” è sinonimo di qualità, stile, eleganza, originalità e affidabilità in tutto il mondo. Il campo semantico a cui l’espressione “Made in Italy” si riferisce è piuttosto ampio in quanto rappresenta una sintesi economica e culturale che comprende, oltre al territorio, anche la creatività, la progettualità, le competenze e la specializzazione delle imprese, nonché la storia, la cultura, l’arte e la tradizione che contraddistinguono il nostro Paese. Si tratta di un valore che ha impiegato secoli di lavoro, passione e savoir-faire per incarnare tutto il fascino dell’Italia riconosciuto all’estero.
Questa consapevolezza ha alimentato in molti imprenditori italiani il mito che i propri prodotti, in quanto italiani, si vendano “da soli” all’estero, senza particolari sforzi. Ma è realmente così?
In primo luogo, bisogna evidenziare che si tratta di un’espressione che è stata talmente abusata nel marketing, nella pubblicità e nel branding da essere diventata quasi un’etichetta generica che non differenzia più i prodotti italiani dagli altri prodotti. Quest’uso smodato ha generato un fenomeno psicologico, che può essere definito di “sazietà semantica”, che si verifica quando una parola, o una frase, viene ripetuta così tante volte da perdere il suo significato e il suo impatto.
Questo dunque cosa significa? Rinunciare a comunicare la propria italianità? Certo che no, tutt’altro! Significa solo dotarla e arricchirla di nuovo valore. Per superare il “declino del Made in Italy”, le aziende italiane devono adottare nuove strategie di marketing in grado di attrarre i consumatori moderni. Devono concentrarsi su innovazione, sostenibilità, esperienza del cliente e soprattutto sulla sua percezione. Devono capire che oggi i consumatori cercano qualcosa di più di una semplice etichetta: vogliono prodotti che soddisfino le loro esigenze e forniscano benefici tangibili. Gli elementi che connotano maggiormente i prodotti italiani nel mondo continuano ad essere qualità, lusso, design, eleganza, ma oggi, in misura crescente e soprattutto nei mercati più maturi, si ricercano sempre più anche sostenibilità ambientale e benessere: elementi che testimoniano i nuovi bisogni dei consumatori e definiscono i driver strategici per valorizzare l’offerta italiana oltreconfine.
I responsabili del marketing dovrebbero, quindi, concentrarsi sull’evidenziare le caratteristiche e i vantaggi dei loro prodotti, piuttosto che affidarsi esclusivamente all’etichetta “Made in Italy”. Mostrare il dietro le quinte di un prodotto, ed impostare una strategia di marketing che evidenzi il know-how e la qualità, è uno strumento preso sempre più in considerazione dalle aziende. Questo perché l’obiettivo primario è far trasparire il lavoro e la cura che le aziende mettono in ogni singola fase del proprio progetto. In questo, le nuove tecnologie possono essere di grande aiuto grazie, per esempio, alla possibilità di mostrare sul proprio sito o sui vari blog le varie fasi di lavorazione, i prototipi (anche in 3D), l’attenzione all’heritage, le interviste agli addetti ai lavori, ecc.
Tuttavia, non si tratta dell’unica sfida che il Made in Italy deve affrontare. Proprio perché apprezzato e riconosciuto, il Made in Italy oggi rappresenta anche il marchio più contraffatto a livello mondiale. Gli ultimi dati OCSE evidenziano infatti come il commercio globale di prodotti in violazione di marchi registrati italiani superi i 24 miliardi di euro, per un valore pari al 3,6% delle vendite totali della produzione italiana nei settori colpiti (Rapporto UIBM-OCSE “Il commercio di beni contraffatti e l'economia italiana").
Senza considerare i danni derivanti dal triste fenomeno dell’Italian Sounding, che consiste nell’utilizzo di parole, immagini, combinazioni cromatiche (il tricolore), riferimenti geografici, marchi evocativi dell’Italia per promuovere e commercializzare prodotti – soprattutto ma non esclusivamente agroalimentari – che in realtà di italiano hanno poco o nulla. Alcuni utilizzano nomi che ricordano l’originale italiano – come il Parmesan negli USA, il Reggianito in Argentina o la Zottarella in Germania -, altri utilizzano sul packaging o nelle pubblicità quell’iconografia che rimanda subito all’Italia, dalla bandiera tricolore ai simboli di alcune città italiane famose in tutto il mondo come la Torre di Pisa o il Colosseo. Un fenomeno che strappa un sorriso, ma che risulta essere anche nocivo; in relazione al solo agroalimentare, infatti, ci costa complessivamente 91 miliardi di euro l’anno (Rapporto ISMEA “Italian Sounding: quanto vale e come trasformarlo in export Made in Italy”).
A questo contribuisce anche la normativa comunitaria sull’origine non preferenziale delle merci che permette di qualificare come Made in Italy i prodotti realizzati in Italia ma con materie prime provenienti dall’estero (art. 60 e ss CDU). Diversi, ovviamente, da quelli “100% Made in Italy” (Legge n. 166/09), ovvero quelli per i quali il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono avvenuti esclusivamente sul territorio italiano.
Investire nell’educazione all’autenticità è sicuramente il miglior modo per tutelarsi e crescere all’estero: occorre aumentare la consapevolezza dei consumatori stranieri riguardo alle caratteristiche uniche dei prodotti italiani, per evitare che siano ingannati da prodotti “falsi Made in Italy”, tramite campagne di marketing mirate e personalizzate in base al Paese di interesse, e iniziative di educazione per i consumatori internazionali volte ad informare e proteggere gli stessi dalle imitazioni fuorvianti.
D’altra parte, anche in questo caso la tecnologia può fornire un grosso supporto: sono sempre più diffusi bar code e QR code che possono essere scansionati tramite smartphone e che, grazie a specifiche app, permettono al consumatore finale di tracciare la filiera di un prodotto e di scoprire immediatamente se è vero o un clone. Oppure i cosiddetti tag parlanti: avvicinando il cellulare al prodotto, è possibile visualizzare una serie di informazioni su di esso, dal luogo di produzione, alle materie prime utilizzate, ai trattamenti subiti, fino al confezionamento.
Per comunicare efficacemente il Made in Italy sui mercati internazionale oggi è indispensabile, quindi, creare una buona strategia di comunicazione che metta al centro il prodotto e che riesca a trasmettere, al di fuori dei confini nazionali, la cultura, la passione e i valori che vi si celano dietro. Ciò che rende le creazioni italiane qualcosa di straordinario non è solo la qualità della materia prima, ma anche la dimensione culturale e il patrimonio di conoscenze e professionalità che ci contraddistinguono. Assumere questa consapevolezza è il punto di partenza per creare una strategia di comunicazione di successo.