Buon quinto compleanno CETA!
Il 21 settembre di cinque anni fa è entrato in vigore il Comprehensive Economic and Trade Agreement (CETA) tra Canada e Unione Europea, un accordo “di nuova generazione” che prevede non solo l’eliminazione della quasi totalità dei dazi sulle merci, ma anche l’accesso preferenziale al mercato dei servizi e la collaborazione tra i firmatari per il riconoscimento delle indicazioni di origine protetta, nonché provvedimenti volti a facilitare gli investimenti, la reciproca partecipazione delle imprese alle gare d’appalto pubbliche e la mobilità dei lavoratori.
Sebbene non si tratti di una vera e propria analisi di impatto, i dati del commercio internazionale possono dare alcune indicazioni su come negli ultimi anni i rapporti tra Italia e Canada abbiano visto un ulteriore miglioramento, grazie anche al CETA. Lo scorso anno, infatti, le esportazioni italiane verso Ottawa hanno raggiunto i 4,8 miliardi di euro, segnando un ritmo di crescita medio annuo, tra il 2017 e il 2021, del 5,5%, superiore di oltre un punto percentuale rispetto alla performance del Made in Italy verso il mondo (Fig. 1). Nello stesso periodo il Canada è diventato la nostra 10a destinazione al di fuori dell’Ue guadagnando quattro posizioni; la quota di mercato italiana nel Paese inoltre è salita da 1,03 a 1,16. Anche i dati parziali di quest’anno confermano tale buona dinamica: +28,8% per il nostro export nel primo semestre rispetto allo stesso periodo del 2021.
I buoni effetti del CETA sono corroborati anche da un’analisi dell’utilizzo del regime preferenziale previsto dall’accordo attraverso il Preference Utilisation Rate (PUR) – calcolato dal DG del Commercio della Commissione Europea – che rappresenta la quota di merci effettivamente esportate (importate) sotto il regime previsto dal CETA sul totale dell’export (import) che avrebbe diritto di beneficiarne. Infatti, una volta entrato in vigore un trattato internazionale le riduzioni dei dazi non sono applicate automaticamente ma subordinate al rispetto di alcuni requisiti, fra tutti le regole di origine preferenziale che definiscono a quali condizioni un bene può essere considerato prodotto in un Paese e può quindi beneficiare dell’applicazione di speciali accordi di scambio.
Nota: i numeri in Fig. 2 derivano dalle statistiche canadesi di import, si riscontrano quindi discrepanze rispetto ai valori di export riportati dall'Italia.
Fonte: Elaborazioni SACE su dati Istat (sx); elaborazioni SACE su dati DG Commercio della Commissione europea (dx).
Circa il 60% dei beni italiani importati dal Canada (corrispondente a 3,7 miliardi di euro nel 2020) è soggetto a un dazio pari a zero secondo la Clausola della Nazione Più Favorita (MFN), la restante parte invece è ammissibile nel regime preferenziale CETA. Nel 2020 (ultimo dato disponibile) le merci italiane effettivamente esportate sotto il regime CETA erano pari a 1,5 miliardi di euro, determinando un PUR del 69,1%, ampiamente superiore a quello dei prodotti europei (55,2%) e in crescita rispetto agli anni precedenti ma con spazi di miglioramento (Fig. 2). Tassi superiori all’80% si riscontrano per comparti quali prodotti alimentari lavorati, piastrelle in ceramica e lavori in vetro e pietra; mentre per importanti settori di import dall’Italia, quali tessile e abbigliamento, calzature e mezzi di trasporto il PUR è decisamente inferiore, intorno al 65%. Ciò potrebbe riflettere il fatto che per filiere relativamente ben monitorate, come quella alimentare, è meno oneroso dimostrare l’origine preferenziale; al contrario, per filiere maggiormente frammentate e caratterizzate da un’elevata incidenza di input produttivi importati, può essere più complicato soddisfare i requisiti.
Non solo l’export di beni ha tratto vantaggio dall’accordo, ma dal 2018, primo anno completo dall’applicazione del CETA, si sono registrati significativi flussi di investimenti italiani diretti in Canada (in media annua, 500 milioni di euro tra 2018 e 2021 contro 153 milioni nel periodo 2014-2017); lo scorso anno lo stock di IDE ha raggiunto 4,5 miliardi di euro. Inoltre, le facilitazioni concesse alle imprese europee per accedere agli appalti e investire in questo mercato continuano a offrire importanti opportunità alla luce anche dei piani infrastrutturali promossi dal Paese, ad esempio quello del Québec 2022-2032 da 142,5 miliardi di dollari.