Sasso nello stagno 02 febbraio 2021

Elezioni in Ecuador: alla ricerca di un centro di gravità

Il prossimo 7 febbraio si terranno nuove elezioni legislative e presidenziali in Ecuador per capire chi sarà il successore di Lenin Moreno. L’economia sudamericana, basata sull’export di petrolio e prodotti agricoli, sta attraversando un periodo di stagnazione dal 2015. Il supporto del FMI e di altre multilaterali hanno garantito al Paese respiro finanziario, ma rimane forte incertezza.
Il prossimo 7 febbraio si terranno nuove elezioni legislative e presidenziali in Ecuador per capire chi sarà il successore di Lenin Moreno. Questi, già delfino dell’ex presidente socialista Rafael Correa (2007-2017), ha concluso un faticoso mandato alla guida del Paese andino virando progressivamente al centro dello spettro politico, in discontinuità con le politiche del predecessore. L’Ecuador di Moreno è uscito da organizzazioni di stampo bolivariano quali ALBA e UNASUR avvicinandosi all’Alleanza del Pacifico, e ha inoltre ricucito rapporti sfilacciati con Stati Uniti e Unione Europea.

L’economia sudamericana, basata sull’export di petrolio e prodotti agricoli, sta attraversando un periodo di stagnazione dal 2015, in coincidenza con la fine del “super ciclo” delle commodity: dividendo il decennio scorso a metà, nella prima il tasso di crescita del Pil è stato del 5% annuo, nella seconda solo dello 0,5%. La pandemia ha quindi colto l’Ecuador in una posizione fragile e il nuovo shock sui prezzi del petrolio a inizio 2020 ha esacerbato le difficoltà.

L’Ecuador è un’economia dollarizzata dal 2000: ciò ha comportato enormi benefici in termini di riduzione dei tassi di inflazione e del rischio di una crisi di bilancia dei pagamenti, ma dall’altro priva il Paese di una politica monetaria autonoma e lega la competitività dei prodotti ecuadoregni ai cicli del dollaro USA. Anche se l’accumulazione di riserve in valuta forte in un regime di questo tipo non è decisiva, una base minima è necessaria per non metterne a repentaglio l’architettura. Nonostante il supporto del FMI e di altre multilaterali a marzo 2019 per oltre $10 mld in tre anni, l’Ecuador non è riuscito ad aumentare la base di riserve e di conseguenza, allo scoppio della pandemia, gli investitori internazionali hanno chiuso i rubinetti al Paese, che si è ritrovato in crisi di liquidità e, ad aprile, ha dovuto chiedere ai creditori la ristrutturazione dello stock di debito estero, pari a $17,4 mld (30% del debito pubblico totale).

La rapida conclusione delle negoziazioni ha garantito al Paese respiro finanziario (Fig.1). Inoltre, grazie alla ritrovata sostenibilità del debito, il FMI a settembre ha concluso con le autorità ecuadoregne un piano di supporto in sostituzione del precedente: il nuovo accordo triennale da $6,5 mld, di cui $4 mld già erogati, ha permesso all’Ecuador di eliminare gli arrear e di ricostituire un’importante base di riserve, minimizzando il rischio di una nuova crisi di liquidità. Per di più il Paese non ha necessità di nuove emissioni di bond sovrani fino a metà 2022.

 

Fig. 1 Servizio del debito estero in milioni di USD pre ristrutturazione (azzurro) e post ristrutturazione (blu)

SACE-Ecuador-servizio-debito

Fonte: elaborazione SACE su dati Moody’s

Tutto risolto? No, il terreno perso dal Paese nel 2020 (Pil -9,5%) e il lento percorso di ripresa prospettato dal FMI per l’intrinseca debolezza dell’economia andina, non rassicurano circa la sostenibilità a medio termine dei conti, visto che il debito pubblico è arrivato al 64% del Pil e non tornerà entro il limite costituzionale del 40% fino al 2030. In questo quadro si inserisce l’elevata incertezza sull’esito delle elezioni a cui non si candideranno né Moreno né il predecessore Correa: una nuova svolta del Paese, con la conseguente discontinuità nelle politiche fiscali e nel posizionamento dell’Ecuador sullo scacchiere internazionale, potrebbe generare nuove incognite. L’attenzione all’evoluzione del quadro economico e politico rimane quindi necessaria per i nostri esportatori.

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