Focus On 14 dicembre 2012

Focus On: Ghana

Il presidente Mahama ha ottenuto la rielezione al primo turno, ma il mancato riconoscimento da parte dello sfidante rischia di compromettere l’immagine di stabilità democratica del paese.

Il presidente Mahama ha ottenuto la rielezione al primo turno, ma il mancato riconoscimento da parte dello sfidante rischia di compromettere l’immagine di stabilità democratica del paese. L’agenda di Mahama è incentrata sul consolidamento dei progressi finora ottenuti dall’economia ghanese, tentando di sanare le criticità esistenti nei conti pubblici e con l’estero attraverso una decisiva arma elettorale: il petrolio. Un’arma, ovviamente, a doppio taglio.

 

Vittoria al primo turno per il presidente Mahama

Nel primo turno delle presidenziali del 7 e 8 dicembre, il presidente John Dramani Mahama ha ottenuto il 50,7% dei voti, evitando così il ballottaggio. Domenica sera la commissione elettorale ha ufficializzato la vittoria del presidente ad interim Mahama, in virtù dei 5,6 milioni di voti ottenuti. Al secondo posto, così come avvenuto nell’ultima elezione del 2008 quando aveva perso con uno scarto di appena l’1% dei voti, si è piazzato lo sfidante Nana Akufo-Addo del partito di opposizione New Patriotic Party (NPP), con il 47,7% delle preferenze. Elevata l’affluenza: circa l’80% dei 14 milioni di ghanesi iscritti alle liste elettorali si sono recati alle urne.

Le forze di opposizione lamentano brogli e si appellano alla Corte Suprema. I sostenitori del NPP accusano il partito di maggioranza National Democratic Congress (NDC) di aver alterato in alcuni seggi lo spoglio delle schede, approfittando dei problemi tecnici collegati ai dispositivi biometrici utilizzati per l’identificazione degli elettori. A fronte delle prove di brogli raccolte, il partito NPP ha deciso di fare ricorso alla Corte Suprema, alimentando di fatto un rischio di potenziale instabilità sociale, che al momento rimane circoscritto. Secondo gli osservatori dell’Unione Africana e dell’Economic Community of West African States (Ecowas), le elezioni si sono svolte in maniera libera e corretta.

Mahama era alla presidenza già dallo scorso luglio. A seguito dell’improvvisa scomparsa del presidente Atta Mills il 24 luglio, il vice-presidente Mahama aveva assunto la guida del paese secondo quanto stabilito dalla costituzione. Il pacifico passaggio di poteri aveva rafforzato ulteriormente i meccanismi istituzionali ghanesi e consolidato l’immagine di un paese stabile in una regione turbolenta, come testimoniato nelle recenti vicende in Costa d’Avorio e Mali. Il mancato riconoscimento della sconfitta da parte della NPP rischia ora, tuttavia, di compromettere un ciclo pacifico di sei elezioni consecutive dall’instaurazione della democrazia nel 1992.

 

Un leone africano (che ha bisogno di tempo per crescere)

L’economia ghanese è in progressiva espansione. Il Ghana figura tra le economie più promettenti dell’Africa Sub-Sahariana, grazie ad un trend costante di crescita economica (oltre il 7% medio annuo negli ultimi dieci anni) sostenuta dalle Istituzioni Finanziare Internazionali, in primis il FMI. Le prospettive per i prossimi anni sono positive: l’espansione delle miniere di oro (di cui è ottavo esportatore al mondo e secondo in Africa) sostiene la forte crescita del settore industriale, mentre il settore dei servizi beneficia dei positivi sviluppi nel commercio, nelle costruzioni e nelle comunicazioni. Il governo intende estendere i successi ottenuti nel rafforzamento della produzione di cacao (il Ghana è il secondo esportatore al mondo dopo la Costa d’Avorio) all’intero settore agricolo, in particolare nei comparti della silvicoltura e della pesca.

Restano tuttavia alcuni squilibri macroeconomici. La forte crescita della domanda interna e le ripercussioni elettorali sulla spesa pubblica (deficit pubblico al 7,3% del PIL) hanno creato nuove pressioni all’inflazione (9,3% a novembre), costringendo Bank of Ghana a politiche di austerità monetaria (tasso di riferimento aumentato dal 12% al 15% negli ultimi mesi). Nella prima metà del 2012 la performance del cedi è stata tra le peggiori in Africa, deprezzandosi di circa il 30%; da agosto le pressioni sulla valuta si sono allentate grazie all’intervento della Banca Centrale, a detrimento tuttavia della posizione delle riserve, diminuite al valore di 5,2 miliardi di dollari, equivalenti a 2,9 mesi di copertura dell’import. La valuta locale resta comunque fragile, a causa del passivo nei conti con l’estero (deficit corrente oltre l’11% del PIL) e della suscettibilità degli investitori esteri agli sviluppi politici e macroeconomici nel paese.

 

Petrolio: benedizione o maledizione?

Dalla fine del 2010 il Ghana è un “paese petrolifero”. Sebbene l’esplorazione petrolifera risalga alla fine del 1970, il Ghana si annovera tra i produttori di greggio solo dal dicembre 2010, quando è iniziato lo sfruttamento dal campo Jubilee. Le riserve di questo sito, stimate tra i 1,2 e i 1,8 miliardi di barili, si trovano a 1.300 metri di profondità al largo delle coste ghanesi in tre blocchi principali: Shallow Water Tano, Deep Water Tano e West ape Three Points. Tra le major petrolifere coinvolte nel paese, Anadarko, Tullow Oil, Kosmos, Ghana National Petroleum Company, EO e Sabre.

Una produzione con alcune difficoltà. Dopo i problemi tecnici che hanno limitato la produzione a 68,5 mila b/d in media nel 2011, le stime per il 2012 indicano una crescita a 87 mila b/d, in ulteriore incremento negli anni successivi. L’obiettivo è di raggiungere i 250 mila b/d entro il 2015, una quota comunque limitata se vista nella scala dei giganti africani Nigeria (2,1 milioni b/d) e Angola (1,8 milioni b/d). Sono altresì stimate riserve di gas pari a 23 miliardi di metri cubi, il cui sfruttamento è però condizionato allo sviluppo delle necessarie infrastrutture, che dovrebbero essere costruite dalla cinese Sinopec e finanziate nel quadro del prestito agevolato da tre miliardi di dollari concesso da China Development Bank.

La vera sfida è evitare la “maledizione delle risorse”. La scoperta del petrolio fungerà da volano per la crescita dell’economia ghanese nei prossimi anni. Occorre tuttavia una buona e trasparente gestione degli introiti petroliferi per sfuggire alla “resource curse” e a quanto avvenuto ad esempio in Nigeria. Fondamentale sarà il sostegno delle IFI nella definizione delle policy per contenere gli effetti della “Dutch disease” (in sostanza, le entrate petrolifere determinano un apprezzamento del tasso di cambio reale che mina la competitività dei settori tradable, come l’agricoltura e il manifatturiero), solitamente connessi allo sviluppo delle risorse nei paesi in via di sviluppo. Altrettanto importante la gestione oculata della nuova ricchezza: in questo senso, primi passi positivi sono già stati compiuti, con l’approvazione del Petroleum Revenue Management Bill e l’istituzione di un Fondo di Stabilizzazione e di un Fondo per le Generazioni Future. Altro imperativo sarà quello di impedire che la ricchezza petrolifera possa intaccare il sistema di governance o aumentare il livello di corruzione nel paese.

Un mandato elettorale di 4 anni o di (almeno) 8 anni? Nonostante i recenti progressi, il Ghana presenta ancora ampi margini di miglioramento in termini di sviluppo umano e socio-economico. Mahama ha a disposizione un’arma elettorale decisiva per rimanere al potere ben oltre il mandato appena cominciato: il petrolio. Se il governo riuscirà a tradurre gli introiti petroliferi in un miglioramento diffuso delle condizioni della popolazione, la sua rielezione nel 2016 è pressoché assicurata; viceversa, se i ghanesi non avvertiranno un sostanziale cambiamento nel loro benessere, è probabile un nuovo cambio alla guida del paese. O, almeno, così dovrebbe funzionare una democrazia.

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