Focus On: Siria, l’economia locale e l’impatto regionale
Raggiunto l’accordo, ma nessuna soluzione in vista per il conflitto
L’accordo tra USA e Russia sulle armi chimiche, accolto positivamente anche dalla Siria, riduce la probabilità di un intervento militare contro il governo di Damasco. L’accordo prevede tempistiche molto strette per la ricezione della lista completa delle armi chimiche siriane (entro una settimana), l’avvio delle ispezioni internazionali (entro novembre) e la successiva distruzione degli arsenali chimici. In caso di mancato rispetto dell’accordo, sarà possibile ricorrere all’ONU ed evocare l’applicazione del capitolo VII (che riconosce l’esistenza di una minaccia alla sicurezza internazionale e può autorizzare l’adozione di misure tra cui sanzioni economiche, no fly-zone, intervento armato).
Una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, che sostenga l’accordo sulla distruzione delle armi chimiche, non è un risultato scontato. Le recenti critiche russe al report dell’ONU (che conferma l’utilizzo degli agenti chimici in Siria, senza identificare chi le abbia utilizzate) potrebbero complicare la discussione e allungare le tempistiche della risoluzione.
Anche in assenza di un intervento militare la situazione nel paese resta comunque fragile e la soluzione del conflitto lontana. L’attuale regime (guidato da Assad o da altre figure di transizione) riuscirà difficilmente a riprendere il pieno controllo del territorio, essendo indebolito dai mesi di guerra civile, pressato dalle sanzioni internazionali e legato al supporto dei paesi partner. Similmente, le forze di opposizione, frammentate e dipendenti dal sostegno occidentale e dei paesi del Golfo, difficilmente riusciranno a conquistare stabilmente il potere.
L’economia siriana continua intanto a contrarsi
Il PIL siriano ha registrato una flessione dal 2011 ad oggi a causa dell’impatto del conflitto su consumi privati, investimenti ed esportazioni. Danni e interruzioni alle attività industriali e alle produzioni agricole, in aggiunta alle sanzioni imposte a livello internazionale, hanno ridotto la presenza di investitori stranieri e comportato una severa flessione delle esportazioni nel 2013 (-46% rispetto al 2012).
Le prolungate violenze hanno colpito i canali attraverso i quali il paese accumula valuta forte, quali l’export, i flus-si turistici e gli investimenti. In particolare le esportazioni di petrolio (stimate pari a 87,000 b/g nel 2010 prima dell’inizio delle tensioni) si sono ridotte drasticamente dall’introduzione delle sanzioni internazionali nel 2011. Conseguente-mente, si sono ridotte le riserve internazionali, in calo da USD 19,5 miliardi a fine 2010 a USD 2,5 miliardi stimati nel 2013.
La valuta locale continua ad indebolirsi: dall’inizio della guerra civile il valore della lira siriana è crollato negli scambi (da 1USD: 50SYD a inizio 2011 a 1USD:200-240SYD sul mercato nero). Inoltre i timori relativi alla crescente dollarizza-zione dell’economia hanno motivato il divieto dell'uso di dollari nelle transazioni commerciali interne.
Le ripercussioni dell’instabilità siriana a livello internazionale e regionale
Gli eventi siriani e l’ipotesi di un intervento militare nel paese hanno un impatto limitato sul prezzo internaziona-le del petrolio. La Siria non è infatti uno dei principali paesi produttori di idrocarburi (rappresenta circa lo 0,4% della produzione mondiale), né costituisce uno snodo centrale per il transito dell’oil&gas (come l’Egitto). I l picco raggiunto a fine agosto dal prezzo internazionale del petrolio (il valore più alto degli ultimi sei mesi), è legato alla più ampia instabilità del Nord Africa e Medio Oriente: nel periodo di osservazione si sono verificate interruzioni della produzione di in Libia, un peggioramento del livello di sicurezza in Egitto (in particolare del Canale di Suez) e in Iraq (il secondo pro-duttore tra i paesi OPEC).
Il Libano è il paese più esposto alle conseguenze di una prolungata crisi in Siria a causa degli attriti tra le diverse confessioni religiose, che caratterizzano anche gli equilibri istituzionali domestici, e dei profondi legami storici tra i due paesi. Negli ultimi mesi le tensioni tra le comunità sciite e sunnite si sono intensificate e in alcuni casi hanno dato luogo a incidenti violenti. Anche al livello politico si teme un aggravamento della situazione a causa del supporto attivo al go-verno siriano da parte degli Hezbollah libanesi, che svolgono un ruolo centrale nel parlamento e nel governo, in contrap-posizione alle altre forze politiche anti-siriane. Infine il Libano deve far fronte alle crescenti pressioni sociali innescate dalla presenza di circa 700 mila profughi siriani (su una popolazione di circa 4 milioni).
La situazione in Siria sta alimentando nuove tensioni anche in Iraq: il conflitto è tra i fattori del recente deteriora-mento dei rapporti tra sunniti e sciiti iracheni. La guerra civile ha infatti accentuato le divisioni settarie, contrapponendo il governo sciita del primo ministro Maliki (identificato come pro-Assad) e i leader dell’opposizione sunnita irachena (pro-ribelli siriani). Si è riscontrato un aumento dell’attività dei gruppi terroristici che dalla Siria coordinano le attività dei ribelli contro il regime di Assad e organizzano attacchi in Iraq. Oltre all’aumento delle vittime civili (luglio è stato il mese più sanguinoso dal 2008) si sono registrati attacchi anche alle infrastrutture petrolifere.
Il tema dei rifugiati impatta su tutta la regione, aumentando le pressioni all’interno dei paesi di destinazione, sia in termini di stabilità sociale che di sostenibilità delle finanze pubbliche: Libano e Giordania, dove affluisce la maggio-ranza del flussi dei rifugiati (rispettivamente pari al 18% e 8% della popolazione locale), hanno già una posizione fiscale economica debole. La prossimità del conflitto siriano influisce negativamente anche sui flussi turistici e potrebbe rappresentare un deterrente per gli investimenti esteri nei paesi dell’area.
L’impatto della crisi sugli scambi con l’Italia
L’interscambio italiano in Siria ha registrato una flessione negli ultimi anni: nel 2012, con l’intensificarsi delle ostili-tà e l’adozione di sanzioni internazionali sempre più stringenti, gli scambi tra i due paesi sono diminuititi dell’84% rispetto all’anno precedente e le esportazioni italiane in Siria si sono ridotte del 73%. Nei primi 6 mesi del 2013 l’export italiano è ulteriormente crollato del 73% rispetto allo stesso periodo del 2012, attestandosi a euro 19 milioni. In partico-lare le vendite italiane di prodotti energetici raffinati e della meccanica strumentale hanno registrato una brusca frenata nel 2012(rispettivamente –99% e –81% rispetto al 2011).