Focus On: Somalia
Sei mesi fa, l’elezione di Hassan Sheikh Mohamud alla presidenza della Somalia ha posto formalmente fine a una transizione politica durata otto anni, facendo nascere le speranze di una “rinascita somala” dopo decenni di assenza del paese dalla scena internazionale. Nel frattempo, l’azienda statunitense Coca-Cola ha riaperto lo stabilimento di Mogadiscio chiuso nel 2006, le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti sono state riallacciate e a giugno si terrà a Nairobi il primo Somalia Investment Summit. Basterà per risollevare definitivamente le sorti di un “paese fallito”?
La fine del periodo di transizione
Lo scorso settembre, Hassan Sheikh è diventato il primo presidente eletto in Somalia dopo più di vent’anni, prendendo la guida di un paese devastato economicamente, politicamente e socialmente. Era dal 1991, da quando il dittatore militare Siad Barre era stato rovesciato da un golpe, che la Somalia non era retta da un vero e proprio governo. L’adozione di una nuova costituzione e l’insediamento di un’amministrazione slegata dal vecchio entourage politico segnano una cesura rispetto alle lotte intestine e alla corruzione che avevano caratterizzato le diverse fasi del Transitional Federal Government (TFG), alla guida del paese dal 2004 al 2012. Il TFG non si era contraddistinto per la buona governance: secondo un rapporto confidenziale delle Nazioni Unite trapelato alla stampa, nel periodo 2009-10 il 70% dei fondi inviati al governo di Mogadiscio per lo sviluppo e la ricostruzione non sono mai giunti nelle casse dello stato somalo.
La comunità internazionale ha risposto positivamente alla salita al potere di Hassan Sheikh, professore e attivista dei diritti civili. Il ripristino delle relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti, dopo più di vent’anni, esemplifica il clima di rinnovata fiducia verso il paese da parte della comunità internazionale e fa ben sperare in ottica di sostegno finanziario da parte dei paesi e delle istituzioni donor. Oltre a Stati Uniti e Unione Europea, anche i paesi del Golfo e la Turchia possono svolgere un ruolo-chiave per il consolidamento somalo.
L’aiuto esterno resta determinante. Il sostegno politico, militare e finanziario da parte della comunità internazionale sarà fondamentale nel riportare gradualmente la Somalia alla normalità. Il ripristino di condizioni minime di sicurezza, in particolare nella zona di Mogadiscio, è garantito dai 17 mila caschi verdi dell’AMISOM, la missione dell’Unione Africana su mandato ONU, provenienti da Uganda, Burundi, Gibuti e Kenia. Il presidente intende basare le sue politiche su “sei pilastri” – stabilità e rule of law, ripresa economica, peace-building, servizi alla popolazione, partnership internazionale, unità nazionale – sebbene i punti nodali rimangano innanzitutto la sicurezza e le finanze pubbliche.
Business nel paese? “Only the brave…”
La Coca-Cola ha riaperto a dicembre scorso i propri stabilimenti a Mogadiscio. Seppur simbolico, il ritorno della Coca-Cola dopo sei anni di assenza rappresenta un timido segnale di rinnovata fiducia nel processo di pacificazione somala. Un segnale positivo per un paese che ha disperatamente bisogno di investimenti e di aiuti dall’estero, ma che allo stesso tempo prova ad attivarsi con propri mezzi, sfruttando soprattutto capitali dalla diaspora somala. In primavera il governo intende varare un ambizioso piano per la crescita degli investimenti, proseguendo sulla strada già tracciata da due progetti avviati a Mogadiscio: il primo riguarda la costruzione di 500 unità abitative, mentre il secondo punta ad assicurare la fornitura di elettricità all’intera capitale con una centrale elettrica da 50 MW, del valore di $ 70-100 milioni.
Il fattore petrolio. Come per molti paesi africani, potrebbe essere il petrolio a giocare il ruolo di magnete per gli investitori internazionali. Nonostante il clima di insicurezza, sono operative sul territorio somalo piccole società di esplorazione, in particolare canadesi, australiane e britanniche. La dislocazione dei giacimenti può tuttavia costituire un problema: le aree di maggiore interesse riguardano il confine tra le regioni autonome del Somaliland e del Puntland, con circa 19 miliardi di barili nei giacimenti di Dharoor e di Nugaal. Di rilievo anche il potenziale del bacino dello Habra Garhajis, nel Somaliland centrale.
Le opportunità di business nel paese. Se decenni di vuoto politico costituiscono una seria sfida al ritorno alla normalità, essi si traducono anche nella necessità di ricostruire praticamente “dal nulla” un intero apparato produttivo economico, oltre che amministrativo-istituzionale. La carenza di infrastrutture di base fa sì che, nel breve periodo, le opportunità di business nel paese si concentrino in settori quali l’allevamento, la pesca, l’agricoltura e il food processing, il cui sviluppo può far nascere un interesse somalo all’importazione di macchinari dall’Italia. Se il processo di consolidamento in corso avrà successo, nel medio-lungo periodo diverse opportunità potranno interessare, oltre al già menzionato settore petrolifero, anche i comparti telecomunicazioni, minerario-estrattivo (in particolare ferro, uranio, stagno), infrastrutture e costruzioni, manifatturiero, banche e retail.
Le sfide ancora da superare
Grandi ostacoli restano sulla strada che porta alla normalizzazione. Nonostante i recenti miglioramenti, lo stato della sicurezza resta fragile in gran parte del territorio somalo. Il movimento islamista di al-Shabab, sebbene abbia perso il controllo delle città-chiave, rimane ancora attivo nel paese e ha consolidato le sue posizioni nelle regioni settentrionali attraverso l’accesso alle vie di rifornimento dallo Yemen. La sua capacità di effettuare attentati è diminuita negli ultimi mesi ma non azzerata: lo stesso Hassan Sheikh e alcuni membri del governo sono scampati a diversi tentativi di omicidio.
Le regioni semi-autonome. Il pilastro politico dell’unità nazionale si scontra con la necessità di definire una struttura federale per consentire un decentramento di poteri da Mogadiscio. La gestione delle relazioni con il Somaliland, stato auto-dichiaratosi indipendente nel 1991 ma non riconosciuto da alcun paese, e con il Puntland, regione che nel 1998 ha dichiarato la propria autonomia da Mogadiscio ma che non cerca l’indipendenza, costituisce un punto interrogativo per la stabilità del nuovo governo.
Pirateria e terrorismo. La Somalia non ha i mezzi economici e logistici per controllare i circa 3000 km di coste, le più lunghe in Africa, facilitando la diffusione del contrabbando di merci e della pirateria internazionale. La pirateria è solo un sintomo di una più ampia questione di insicurezza territoriale e di assenza di governance in Somalia. La presenza dei militanti islamisti di al-Shabab (collegati ad Al-Qaeda) non è stata ancora debellata e si è ultimamente trasformata in una strategia di guerriglia.
Situazione debitoria. Lo stato delle finanze pubbliche è difficilmente misurabile, a causa dell’assenza di dati certi. La vita di numerose famiglie dipende esclusivamente dalle rimesse dall’estero: ogni anno la diaspora somala invia nel proprio paese circa $ 1,6 miliardi. Nel corso degli anni ‘80 si sono succeduti diversi accordi multilaterali di ristrutturazione del debito somalo in ambito Club di Parigi, che tuttavia hanno avuto scarso successo. La Somalia è ad oggi, assieme a Sudan e Zimbabwe, tra i paesi che hanno la situazione debitoria più critica nei confronti delle Istituzioni Finanziarie Internazionali. In particolare, Mogadiscio deve $ 356 milioni al Fondo Monetario Internazionale, $ 252 milioni alla Banca Mondiale e $ 91 milioni alla Banca Africana per lo Sviluppo.