Sasso nello stagno 03 novembre 2020

Gli USA che verranno: il 46° presidente americano e la sua politica commerciale

L’utilizzo di misure protezionistiche da parte degli Stati Uniti come strumento strategico di politica estera non è una novità degli ultimi anni: a partire dagli anni '70, infatti, solamente i presidenti Bush Sr. e Clinton non hanno introdotto nuovi dazi ai prodotti d’importazione. L’amministrazione Trump è stata tuttavia una delle più attive in tal senso. L’evoluzione di questo confronto e, in generale della politica commerciale statunitense, dipenderà molto da chi sarà il futuro presidente degli USA

L’utilizzo di misure protezionistiche da parte degli Stati Uniti come strumento strategico di politica estera non è una novità degli ultimi anni: a partire dagli anni '70, infatti, solamente i presidenti Bush Sr. e Clinton non hanno introdotto nuovi dazi ai prodotti d’importazione. L’amministrazione Trump è stata tuttavia una delle più attive in tal senso, avendo imposto nel solo 2018  dazi sul un valore delle importazioni pari a $283 miliardi, al fine, tra le altre cose, di rafforzare la manifattura interna. È proprio in questo contesto di irrigidimento delle misure protezionistiche da parte di Washington che l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) lo scorso ottobre ha emesso la propria decisione riguardo la controversia Usa-Airbus, autorizzando gli Stati Uniti a imporre dazi sui prodotti europei; misure che, a distanza di un anno, anche l’Unione europea è autorizzata a implementare come indennizzo. È proprio l’OMC e l’elezione del prossimo suo direttore generale al centro dello scontro politico: Trump si è opposto alla nomina, caldeggiata dalla maggioranza degli Stati Membri tra cui Ue, Cina, Africa, Giappone e Australia, della nigeriana Ngozi Okonjo-Iweala, lasciando l’OMC in una situazione di stallo a cui si aggiunge la mancata nomina, per veto sempre americano, dei giudici della Corte di appello dell’OMC, organo che dirime le dispute commerciali tra Paesi.

Trump-Biden

Fonte: nbcnews

L’evoluzione di questo confronto e, in generale della politica commerciale statunitense, dipenderà molto da chi sarà il futuro presidente degli USA. I due candidati, infatti, hanno diverse visioni a riguardo. Se da un lato Trump ha già dimostrato di preferire una politica protezionistica, arrivando addirittura a definire l’Europa un “nemico” commerciale degli Stati Uniti e promettendo nuovi dazi sulle merci di importazione europea, dall’altro Biden non ha ben chiarito gli indirizzi della sua politica estera preferendo concentrare il proprio programma elettorale su interventi mirati a contenere le problematiche interne. Al già conosciuto slogan trumpiano “America first” si è affiancato quello democratico del “Made in All of America”: Biden ha infatti annunciato un programma da $400 miliardi di investimenti interni a cui si aggiungono sussidi per le imprese americane, incentivi per quelle imprese statunitensi dei settori medicale, telecom e semiconduttori che rimpatrieranno la catena produttiva e, non da ultimo, l’esclusione delle società straniere dagli appalti pubblici. Il timore dei partner commerciali europei è che, nella forma, il dialogo con l’eventuale nuovo presidente possa avere toni più pacati, ma nella sostanza, poco o nulla possa cambiare rispetto al suo predecessore.

Gli Stati Uniti rappresentano da sempre un partner commerciale strategico per l’Italia, attestandosi nel 2019 come terzo mercato di sbocco dei prodotti Made in Italy, il primo al di fuori dell’Europa. I beni italiani godono di un forte appeal oltreoceano: negli ultimi dieci anni hanno, infatti, registrato una crescita continua pari al 10,5%, in media, all’anno. Nel solo 2019 il mercato americano ha accolto beni Made in Italy per €45,6 mld. Nel confronto con i peer europei l’export italiano si posiziona davanti a quello francese e spagnolo (€42,4 mld e €13,7 mld, rispettivamente), ma molto distante da quello tedesco (€119,4 mld). I settori più rilevanti dell’export italiano sono la meccanica strumentale (21,6% del totale esportato verso gli USA, nel 2019), seguita dai mezzi di trasporto e dalla chimica – comprensiva di farmaceutica (16,3%), quindi gli altri consumi (8,6%) e per chiudere alimentari e bevande (7,5%). In un 2020 gravato dalla pandemia Covid-19, l’export italiano verso gli USA ha registrato nei primi nove mesi dell’anno una contrazione del 7,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, performance migliore rispetto a quella registrata dai Paesi extra-UE (-12,7%).

I prossimi giorni ci diranno se l’export italiano dovrà ancora raffrontarsi con i continui stop&go della politica trumpiana oppure se si apriranno maggiori spiragli con quella di Biden. A prescindere dal responso, le imprese italiane possono guardare con cauto ottimismo alle opportunità che il mercato statunitense continuerà ad offrire nei prossimi anni.

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