Guns for hire. La corsa agli armamenti passa per il Medio Oriente
“Si pace frui volumus, bellum gerendum est” (Cicerone, Philippicae)
L’aumento storico della spesa militare statunitense, che secondo gli auspici del Presidente Trump crescerà di USD 54 miliardi fino a un totale superiore ai USD 600 miliardi, ha riacceso i riflettori sul tema della corsa agli armamenti. Gli Stati Uniti sono già la nazione con la maggiore spesa al mondo in difesa. Il divario tra gli Stati Uniti e gli inseguitori è ancora ampio. La Cina, secondo Paese al mondo per spesa militare, si ferma a circa USD 215 miliardi. Nemmeno la somma dei sette Paesi con la maggior spesa militare dopo gli Stati Uniti eguaglia quella statunitense (cfr. grafico 1).
Seppur più contenuta in termini assoluti, la corsa agli armamenti è un fenomeno in corso da tempo nell’area mediorientale. Già oggi l’Arabia Saudita costituisce il terzo Paese al mondo per spesa militare, equivalente a circa USD 87 miliardi. In termini di spesa pro capite, però, Riyadh è il primo acquirente al mondo: circa USD 2.800, a fronte dei USD 1.854 statunitensi e dei soli USD 156 della Cina. Non solo Arabia Saudita: tra i primi 10 Paesi al mondo per spesa militare pro capite vi sono anche Oman (secondo con USD 2.574), EAU (terzo, USD 2.446), Bahrain (nono, USD 1.105).
La spesa militare nell’area MENA ha resistito ai contraccolpi dal calo del petrolio. Secondo previsioni IHS Markit, la spesa militare continuerà a crescere del 2-3% annuo fino al 2020. Non solo si avrà un aumento della spesa, ma anche una variazione della sua composizione: mentre in passato erano maggioritari gli acquisti di sistemi di difesa, il rafforzamento della capacità bellica sarà ora indirizzato per lo più su sistemi offensivi.
La corsa mediorientale agli armamenti ha molteplici cause: il parziale disimpegno statunitense dall’area, congiunto all’incremento dell’instabilità regionale, hanno aumentato la necessità dei Paesi dell’area di rafforzare la capacità di intervento anche al di fuori dei propri confini. Non solo. Il riemergere dell’Iran dall’isolamento internazionale ha riacceso la contesa per la leadership regionale, un confronto concretamente visibile nei conflitti in Yemen e Siria. Se, quindi, la crescita della spesa militare è fisiologica in un momento di maggior responsabilità dei singoli Paesi dell’area e di disimpegno del “poliziotto del mondo” statunitense, una maggiore capacità bellica, ancor più se offensiva, potrebbe rappresentare una nuova fonte di instabilità nell’area.
Dopo l’offensiva del terrorismo internazionale, dobbiamo prepararci a un Medio Oriente sempre più impegnato in conflitti intra-regionali, al contempo protagonista (oltre che scenario) di una conflittualità senza fine?