Focus On 24 gennaio 2023

I servizi nel mondo di oggi e di domani: un treno che non si può perdere

L’impatto del Terziario nell’export di beni e servizi è sempre più centrale nelle dinamiche economiche internazionali. Importanti margini di crescita possono derivare da una maggiore spinta in termini di competitività e digitalizzazione, per compensare le criticità in termini di produttività, competenza e formazione e grado di apertura di molti mercati.

Lo studio è stato realizzato in collaborazione con Manageritalia

 

  • I servizi sono un macrosettore sempre più rilevante: non solo per la loro varietà e dimensione, ma anche per la loro capacità di integrarsi sempre più all’interno dei prodotti e dei processi di distribuzione e vendita.
  • Nel decennio precedente la pandemia il volume del commercio internazionale di servizi ha registrato una dinamica di crescita intensa (+56%) – superiore a quella dei beni – che si è tradotta anche in un incremento progressivo del loro peso sugli scambi globali (25%; 50% in termini di valore aggiunto).

  • .Nel 2021 se da un lato si è assistito a un forte rimbalzo degli scambi di beni, tale da generare un ritorno ai livelli pre-pandemia, così non è stato per i servizi, che pur segnando una crescita elevata (+17%), non sono riusciti a registrare il pieno recupero dei livelli del 2019.

  • A livello europeo si conferma la dinamica globale, mentre restringendo la lente sull’Italia la performance è stata peggiore: a partire dal nuovo millennio l’export di servizi del nostro Paese ha iniziato ad accumulare ritardo rispetto alla media europea e, soprattutto, ai principali partner.

  • Il valore dell’export di servizi italiano è cresciuto tra il 2011 e il 2019 a un tasso medio annuo del 4,1% – in linea con quello dei beni e inferiore a quello mondiale dei servizi – per poi scendere all’1,1% considerando anche l’ultimo biennio. Dopo aver raggiunto il massimo storico nel 2019 con €109,4 miliardi, nel 2021 il Terziario italiano ha registrato un valore esportato pari a €86,6 miliardi. Nei primi dieci mesi del 2022 le esportazioni hanno segnato una crescita del 37,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e dovrebbero chiudere l’anno a €118 miliardi. Il buon andamento è atteso proseguire anche nel 2023, con un +2,6%, e nel triennio successivo (+3,6%, in media l’anno) quando si sfioreranno i €135 miliardi a fine periodo di previsione.

  • A guidare l’export italiano di servizi nel 2021 è la componente “altri servizi alle imprese” (€26,2 miliardi, incidenza sul totale pari al 30%) che comprende anche diverse tipologie definibili ad alta tecnologia (es. quelli di architettura, ingegneria, consulenza professionale e manageriale e ricerca e sviluppo). Tale voce è diventata la più rilevante a seguito della pandemia, superando il turismo (€21,7 miliardi, peso del 25%) che ha pagato le limitazioni agli spostamenti legate alla pandemia. Segue l’export di trasporti e logistica, con una quota dell’11% circa (€9,7 miliardi), in calo di quasi un terzo sul pre-crisi ma in crescita del 12% sul 2020. 

  • Un’ulteriore chiave di lettura dello spaccato settoriale dei servizi è rappresentata dalla bilancia dei pagamenti della tecnologia, non incorporata in beni fisici che si sta dimostrando particolarmente dinamica: dal 2010 il suo export, seppure relativamente contenuto (€17,6 miliardi, 20,4% del totale export di servizi), è infatti cresciuto dell’11,6%, in media, l‘anno L’analisi dell’origine territoriale dell’export italiano di servizi mostra Lombardia e Lazio come motori trainanti (€26,5 e €15 miliardi rispettivamente nel 2021), seguite, anche se ampiamente distanziate, da Piemonte (€5,2 miliardi), Veneto (€4,5 miliardi) ed Emilia-Romagna (€4,3 miliardi).

  • L’Unione Europea nel 2021 ha accolto il 51% dell’export italiano di servizi (46% nel 2019); mentre per i singoli Paesi tra i principali utilizzatori figurano quelli comunitari (Germania e Francia in primis) a cui si aggiungono Svizzera, Stati Uniti, Regno Unito e Cina.

  • Secondo un'analisi Constant Market Share (CMS), il ritardo di crescita accumulato nelle nostre esportazioni è da ricondursi principalmente alla bassa competitività italiana della maggior parte dei servizi, mentre fattori come specializzazione settoriale e mercati di destinazione hanno rivestito un ruolo minore nella spiegazione di questo gap.

  • Tra i fattori alla base della minore competitività italiana, il nostro Paese presenta in particolare un ritardo riguardo alla formazione, sia continua che specifica sul posto di lavoro, e di indipendenza delle mansioni svolte sul posto di lavoro. La performance italiana, secondo la European Consumer Survey (ECS), è inferiore alla media europea nella maggioranza dei comparti dei servizi, soprattutto in confronto con i Paesi “virtuosi” (Francia, Germania e Paesi del Nord Europa). La situazione è migliore nel sottosettore del commercio e alberghi, dove l’Italia ha valori in media migliori del resto della Ue e anche di alcuni Paesi virtuosi.

  • Un ulteriore fattore che spiega il divario competitivo tra il nostro Paese e principali peer è la deregolamentazione dei servizi, sulla quale l’Italia mostra margini di miglioramento rispetto al resto dei Paesi Ocse, soprattutto nei servizi ad alto contenuto intellettuale come contabilità, ingegneria, architettura, servizi legali, broadcasting.

  • Alcuni elementi di ottimismo arrivano dalla riduzione nel divario tra l’Italia e i Paesi Ocse registrata tra il 2014 e il 2021 in alcuni comparti, soprattutto nei servizi finanziari che registrano un calo dell’indice di “eterogeneità” STRI (Services Trade Statistics Index) di circa il 10%. Altri segnali positivi arrivano anche dal Digital Economy and Society Index (DESI), che nel 2022 posizionava l’Italia diciottesima (ventesima nel 2021) a livello Ue nella classifica generale per le performance digitali e settima (ventitreesima l’anno precedente) con riferimento alla connettività.

 

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