Sasso nello stagno 02 novembre 2021

L’ombra lunga degli squilibri valutari sullo sviluppo nigeriano

Con i prezzi del greggio che hanno oltrepassato quota 85 dollari al barile può sembrare sorprendente come le prospettive di crescita della Nigeria, primo produttore di idrocarburi in Africa subsahariana, continuino a essere sostanzialmente stagnanti nelle ultime stime del Fondo Monetario Internazionale. Ma le carenze dell’industria petrolifera sono solo parte della lunga stagione di stagflazione della prima economia dell’Africa subsahariana. Una liberalizzazione sembra quindi imprescindibile, tanto per garantire la stabilità dei conti con l’estero quanto per velocizzare i flussi commerciali e finanziari internazionali.
Con i prezzi del greggio che hanno oltrepassato quota 85 dollari al barile – ben al di sopra delle attese di inizio anno – può sembrare sorprendente come le prospettive di crescita della Nigeria, primo produttore di idrocarburi in Africa subsahariana, continuino a essere sostanzialmente stagnanti (+2,6% in media nei prossimi cinque anni), nelle ultime stime del Fondo Monetario Internazionale. Tradotto in termini pro capite, il Pil nigeriano resterà ben al di sotto di quello precedente alla crisi pandemica almeno fino al 2026. Il principale fattore dietro questa dinamica deludente, almeno nel breve periodo, è una produzione petrolifera ampiamente inferiore alla quota stabilita dall’OPEC (-25% rispetto ai livelli di fine 2019), a causa di problemi tecnici nell’estrazione riconducibili agli insufficienti lavori di manutenzione degli impianti durante la pandemia.

 

Ma le carenze dell’industria petrolifera sono solo parte della lunga stagione di stagflazione della prima economia dell’Africa subsahariana. Le scelte di politica monetaria e valutaria della banca centrale nigeriana (CBN), strette tra obiettivi spesso incompatibili, continuano infatti a essere tra i principali deterrenti alla crescita. Le svalutazioni della naira operate dalla CBN dall’inizio della crisi, con il crollo degli afflussi di valuta forte, e l’unificazione dei due tassi di cambio ufficiali sono state insufficienti a eliminare la sopravvalutazione reale della naira. Né sono stati messi in discussione i controlli valutari attualmente esistenti, che dilatano i tempi di conversione e limitano significativamente l’accesso alla valuta – di fatto impedendolo in caso di importazioni in settori che l’esecutivo ritiene strategici per la produzione locale (ad esempio cemento e vari prodotti alimentari e siderurgici). In un nuovo tentativo di difendere il cambio ufficiale, a luglio la CBN ha deciso di sospendere la vendita di valuta sul mercato parallelo – facilitatore di corruzione e attività illecite, secondo le autorità, o mercato che soddisfa circa il 90% della domanda di valuta da parte delle imprese, secondo la Banca Mondiale. Quello che di fatto è un razionamento della valuta ha determinato un crollo della naira sul mercato parallelo, dove si è raggiunto un nuovo record di 575 naira per dollaro (contro 410 del cambio ufficiale), alimentando un’inflazione strutturalmente elevata (17%).

Figura 1 – Indicatori di rischio di liquidità e solvibilità, per scenari

SACE Sasso nello stagno Nigeria

Fonte: elaborazione SACE su dati Oxford Economics

Le esportazioni italiane, rappresentate principalmente da macchinari e raffinati e quindi meno soggette a restrizioni formali, e le imprese attive in Nigeria restano fortemente esposte al rischio di ritardi, anche considerevoli, nella conversione della valuta e nel rimpatrio dei profitti. Sebbene nella pratica alcune merci non prodotte localmente (ad esempio raffinati) possano godere di accesso privilegiato alla valuta, le tempistiche per la conversione sono particolarmente imprevedibili 

Qualcosa sembra tuttavia muoversi all’orizzonte. Il presidente della CBN ha recentemente ventilato l’ipotesi di una liberalizzazione del mercato valutario, legandola alla raffineria di Aliko Dangote, la più grande in Africa, che dovrebbe diventare operativa per la metà del 2022. Tale prospettiva resta tuttavia altamente incerta: sebbene i raffinati rappresentino il 30% delle importazioni nigeriane, la diminuzione della domanda di valuta a causa della nuova raffineria potrebbe non essere sufficiente ad alleviare le pressioni sulla naira. In caso di mancata liberalizzazione, i conti con l’estero continuerebbero a deteriorarsi sensibilmente. Come descritto in Fig. 1, l’indicatore di rischio di liquidità (il rapporto tra servizio sul debito estero ed esportazioni) e quello di solvibilità (debito estero netto su esportazioni) crescerebbero su livelli potenzialmente insostenibili sia in caso di uno shock negativo sui prezzi del petrolio (da 60 a 50 dollari/barile in media), che in caso di mancata liberalizzazione (in cui si ipotizza la difesa del cambio fisso col dollaro dopo una svalutazione una tantum). Le pressioni sui conti con l’estero in quest’ultimo caso sarebbero ancor più forti nel medio-lungo periodo, a scapito delle riserve in valuta. Una liberalizzazione sembra quindi imprescindibile, tanto per garantire la stabilità dei conti con l’estero quanto per velocizzare i flussi commerciali e finanziari internazionali.
 

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