La Cina dopo il Covid: il rallentamento non è solo una questione di lockdown
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Dallo scoppio della pandemia a cavallo tra la fine del 2019 e il 2020, la Cina ha implementato con estremo rigore restrizioni che hanno avuto successo nel contenere la diffusione del virus. Il sopraggiungere della variante Omicron ha però cambiato rapidamente le carte in tavola, rivelando la debolezza dell’approccio seguito dalla Cina: mentre il resto del mondo è passato a una fase di convivenza con il virus, Pechino ha continuato ad applicare con estremo rigore la zero-Covid policy.
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L’effetto dei continui lockdown è stato stimato in 1,2 p.p. di Pil reale nel 2022 dal Fondo Monetario Internazionale, che ha tagliato le stime di crescita del Paese fino a +3,2%, mentre per la Banca Mondiale l’economia si fermerà al +2,8%.
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Il rallentamento dell’economia cinese è osservato con una certa preoccupazione anche dal resto del mondo e, specialmente, dal resto delle economie asiatiche. Analizzando diversi indicatori macroeconomici nel periodo 1996-2021 attraverso la stima di un modello econometrico, è stato calcolato un impatto medio del rallentamento di 1 p.p. del Pil reale della Cina sulla crescita di un gruppo di economie emergenti asiatiche pari a 0,34 p.p..
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In un contesto di minor crescita della Cina e delle altre economie asiatiche, anche parte delle esportazioni italiane verso la regione potrebbe risentire del conseguente rallentamento della domanda di importazioni. Attraverso la stima di una elasticità media del nostro export all’andamento del Pil dei mercati emergenti dell’area (pari a circa 1,1) e combinandone i risultati con quelli dell’esercizio precedente, la “perdita” di export ipotetica nel 2021 verso i Paesi selezionati, se la crescita della Cina fosse stata inferiore di 1 p.p. rispetto al dato effettivo, è stata valutata in poco più di €4 miliardi di euro.
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Tra i Paesi analizzati, l’impatto maggiore si avrebbe nella stessa Cina (-€2 mld), seguita da Corea del Sud (-€489 mln), Thailandia (-€373 mln) e Hong Kong (-€283 mln), mentre l’effetto risulterebbe più marginale in quelle geografie in cui i valori esportati risultano ancora contenuti (es., Mongolia, Nepal, Laos, Myanmar).
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Mentre il rallentamento economico rilevato a partire dal 2020 può essere attribuito a cause direttamente o indirettamente connesse alla pandemia, dall’analisi degli elementi strutturali che determinano la traiettoria della crescita economica di lungo periodo (demografia, processi di accumulazione di capitale e capacità di innovare) di un Paese, è possibile affermare che il rallentamento della Cina diventerà un fenomeno stabile nei prossimi anni. Alcuni studi prevedono addirittura una convergenza verso tassi di crescita compresi tra il 2% e il 3% nel giro di vent’anni.
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In un’ottica di lungo periodo, però, le altre economie asiatiche dovrebbero risentire meno del rallentamento del Pechino, in virtù di un maggiore sviluppo dei sistemi produttivi dei principali mercati emergenti della regione, che dovrebbe aumentarne l’indipendenza dalle sorti dell’economia cinese. Al tempo stesso, se la Cina confermerà la transizione verso un modello di sviluppo più attento al mercato domestico, riducendo la quantità di risorse destinate oltreconfine, potranno addirittura crearsi opportunità per quelle aziende italiane che sapranno farsi trovare pronte a raccogliere la sfida in quelle geografie che, tuttora, risultano ancora mercati di frontiera o sotto-penetrati.
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