Open (again) - Rapporto Export 2020
L'eredità del 2019 e i primi cenni di "influenza"
Il 2019 ci ha lasciato in eredità tensioni e incertezze alimentate da diversi fattori, in particolare l’escalation protezionistica della politica commerciale statunitense, ma anche la questione Brexit e le crisi socio-politiche di alcune economie emergenti. Gli effetti si sono tradotti nella performance più debole dell’ultimo decennio per il Pil mondiale e in una crescita pressoché piatta dei volumi del commercio internazionale. In questo contesto, è proseguito l’andamento positivo dell’export italiano di beni, sebbene in misura meno sostenuta dell’anno precedente (+2,3% in valore, rispetto a +3,6% del 2018), tenuto dalla domanda dei mercati extra-Ue (+3,9%) a fronte di una dinamica più contenuta dei paesi dell’Unione europea (+0,8%).
Il quadro mondiale muta profondamente agli inizi del 2020
Previsioni riviste al ribasso per l’export italiano
Le maggiori spinte al ribasso riguarderanno alcuni settori dei beni intermedi, come i metalli e, in misura minore, i prodotti in gomma e plastica, che hanno sofferto l’interruzione delle Catene Globali del Valore (CGV) causata dal blocco diffuso delle attività produttive nella prima metà dell’anno, mentre la dinamica della chimica risulterà meno impattata nel 2020 grazie in particolare alla componente della farmaceutica. Criticità sono attese anche per i beni di consumo, in particolare nel settore della moda che si riprenderà solo lentamente nel 2021, mentre le vendite all’estero di mobili e arredamento potranno, almeno in parte, beneficiare della maggiore attenzione dei consumatori legata alla più lunga permanenza nelle abitazioni, in media, anche durante l’attività lavorativa. Molte sono inoltre le ombre, nel 2020, anche per i beni di investimento, specie nei mezzi di trasporto (soprattutto il segmento automotive, in difficoltà già dallo scorso anno, ma con qualche spiraglio positivo per i veicoli più green), nella meccanica strumentale e negli apparecchi elettrici, per via dei ritardi e delle cautele nelle scelte di famiglie e imprese in un contesto incerto. Sono invece le esportazioni italiane di agricoltura e alimentari a essere le meno colpite nel 2020, in virtù di una produzione che non ha subito drastici arresti durante il lockdown e di una domanda sostenuta dall’aumento della spesa per alimenti e bevande realizzata nei canali della distribuzione, più o meno organizzata. In questo senso le restrizioni fisiche imposte ai contatti diretti con i consumatori e le imprese partner hanno fatto comprendere ancora di più l’importanza e le potenzialità dei canali digitali e dell’e-commerce per tutte le categorie di merci e servizi. Affinché un’iniziativa di export digitale possa essere efficace, è necessario comprendere e configurare in modo opportuno alcuni elementi chiave, soprattutto in un’ottica B2C, quali i canali commerciali, logistici e di marketing, i sistemi di pagamento, gli aspetti legali e organizzativi.
... e per i suoi mercati di sbocco
La performance delle esportazioni italiane verso le diverse aree geografiche vedrà dappertutto un segno meno nel 2020, sebbene sulla loro capacità di ripresa verso i singoli mercati incideranno la magnitudo con cui questi hanno risentito della crisi sanitaria, la severità delle misure contenitive attuate dai governi e il grado di integrazione delle economie nazionali nei processi produttivi regionali e globali. In questi termini le nostre vendite verso i paesi europei avanzati e il Nord America subiranno una contrazione marcata nell’anno in corso, seguita da una ripartenza già nel 2021, sebbene non sufficiente per ritornare sui livelli del 2019. Una maggiore resilienza sarà mostrata dal nostro export nei mercati dell’Europa emergente e Csi, mentre in Asia saranno solo le economie che hanno reagito prima e meglio alla crisi pandemica quelle dove la domanda di Made in Italy ripartirà più velocemente. Una caduta delle vendite nel 2020 seguita da una ripresa apprezzabile nell’anno successivo caratterizzerà anche la dinamica delle nostre esportazioni verso l’America Latina e l’Africa Subsahariana, nonostante il pesante impatto sanitario della pandemia nella prima regione e i timori di una diffusione incontrollata nella seconda area alimentino rischi al ribasso per un pieno e veloce recupero dell’export italiano.
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In un mondo che si prepara a riaprirsi, seppure con difficoltà, diventa ancora più necessario adottare una strategia selettiva e costante per intercettare i giusti “incroci” tra destinazioni più reattive e settori più dinamici. In questo senso occorre acquisire
maggiore competitività e, quindi, quote di mercato nelle principali economie di sbocco e nelle venti “geografie prioritarie”, identificate da SACE già nelle scorse edizioni del Rapporto Export in un’ottica di opportunità nel medio-lungo periodo, verso le quali le esportazioni italiane cresceranno complessivamente oltre il 5% in media annua a partire dal 2021. Tra i mercati da presidiare per sfruttare una ripartenza più veloce della domanda vi sono: Germania, Stati Uniti (con le incognite legate al contenimento della pandemia), Svizzera, Cina, Russia, Giappone, Repubblica Ceca, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Marocco e Vietnam. Il comparto farmaceutico negli Stati Uniti e in Cina, le energie rinnovabili in Marocco e Colombia, l’agribusiness e la trasformazione alimentare in Perù e India, la sanità in Russia e Arabia Saudita, le infrastrutture in Messico e negli Emirati Arabi Uniti, le utility energetiche in Sudafrica, sono soltanto alcuni esempi di opportunità che le imprese italiane possono cogliere in questi mercati prioritari e su cui basare strategie di internazionalizzazione diversificate ed efficaci nel tempo. Andando anche oltre queste geografie, i nostri indicatori Investment Opportunity Index (IOI) e Export Opportunity Index (EOI) possono rappresentare utili strumenti nell’identificazione delle destinazioni più promettenti dove investire e esportare in tutto il mondo. Inoltre, le imprese e le filiere italiane possono avvalersi delle iniziative Push Strategy finalizzate a una più stretta integrazione delle imprese, specie di piccola e media dimensione, nelle CGV attraverso finanziamenti e attività di business matching con grandi player internazionali che operano in settori ad alto potenziale per il Made in Italy.
Prepararsi anche a scenari più avversi
L’elevata incertezza riguardo l’evoluzione dell’emergenza sanitaria a livello globale ci ha spinto a simulare scenari di previsione alternativi, ovvero basati su assunti differenti e peggiorativi rispetto a quelli dello scenario base, in relazione alla durata e alla intensità dello shock sull’economia globale e, di riflesso, sulle esportazioni italiane. In un primo scenario alternativo, abbiamo considerato l’eventualità di un nuovo lockdown su scala globale nei primi mesi del 2021, mentre in un secondo scenario alternativo abbiamo ipotizzato che le restrizioni all’attività economica e le misure di distanziamento sociale attualmente in essere in molte geografie siano allentate in maniera più lenta e graduale rispetto allo scenario base. In entrambi gli scenari, la necessità di riattivare o mantenere le restrizioni al movimento delle persone e ai processi produttivi sia nazionali che internazionali accentuerebbe il crollo dell’export italiano, che nel 2020 segnerebbe -12% e -21,2% nei due scenari, rispettivamente. Il 2021 non sarebbe più un anno di “rimbalzo”, ma vedrebbe una crescita ancora negativa nel primo e soltanto lievemente positiva nel secondo scenario alternativo, lasciando il pieno recupero dei valori esportati nel 2019, in entrambi gli scenari, concretizzarsi non prima del 2023.
Open (again): auspicio e necessità
Questi scenari e la stessa pandemia Covid-19 evidenziano l’importanza delle CGV e le ripercussioni, per tutti, di una loro interruzione, anche se temporanea. Ciò è particolarmente evidente per il nostro Paese, che fa dell’export un importante traino di crescita e dove sono poche le filiere produttive che non dipendono da importazioni dall’estero, anche se in piccola parte. L’Italia si colloca infatti tra i paesi più integrati e coinvolti in attività a elevato livello di innovazione ed è particolarmente integrata all’interno del continente europeo. Anche se c’è chi vede in questa fase la fine della globalizzazione come l’abbiamo finora conosciuta, è comunque indubbio che rinunciare all’efficienza e ai vantaggi delle CGV per un’apparente sensazione di sicurezza nazionalistica comporterebbe ricadute negative sull’efficienza e competitività dei sistemi produttivi. È ovviamente opportuno correggere alcune distorsioni presenti negli attuali assetti produttivi internazionali e questa crisi offre una importante opportunità per farlo, ma non bisogna trascurare come l’apertura dei mercati agli scambi internazionali abbia contribuito a garantire in passato sviluppo e benessere diffusi.
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