Stati Uniti - Iran: continuano le tensioni
Il 14 settembre due raffinerie saudite, Abqaiq e Khurais, i più grandi impianti di lavorazione di petrolio al mondo, sono state attaccate da missili cruise, causando un temporaneo stop alla produzione e una perdita pari al 5,7% della fornitura mondiale di greggio. Le conseguenze sui mercati non si sono fatte attendere: il prezzo del greggio, prima dell’attacco pari a circa 60 dollari al barile, è aumentato del 20% all'apertura dei mercati, lo scorso 16 settembre – il maggior rialzo registrato da quando l'Iraq ha invaso il Kuwait quasi 30 anni fa. Al fine di attenuare le conseguenze della crisi sui mercati, il presidente Trump ha autorizzato l’impiego delle riserve strategiche americane. Il rialzo è tuttavia rientrato in tempi rapidi nei giorni successivi, con le quotazioni tornate ai livelli precedenti. L’attacco è stato rivendicato dagli Houthi, una milizia sciita appoggiata dall’Iran che da quattro anni combatte una guerra in Yemen contro il governo locale, che gode invece del sostegno dell’Arabia Saudita. L’intelligence statunitense, tuttavia, partendo dall’analisi delle foto satellitari che mostrano il punto d’impatto, ha affermato che i droni e i missili impiegati nell’offensiva non sono arrivati da Sud – dove si trova lo Yemen – ma da Nord o Nord-Ovest, quindi dall’Iran o dall’Iraq. Il primo ministro iracheno Adel Abdul-Mahdi ha negato ogni coinvolgimento così come le autorità iraniane. La nuova fase di tensione iniziata con l’attacco all’oleodotto Est-Ovest tra Abqaiq e il Mar Rosso (Figura 1) ha acuito il confronto tra Stati Uniti e Iran. A giugno, un drone statunitense era stato abbattuto mentre sorvolava lo stretto di Hormuz, dal quale passa un terzo del commercio mondiale di petrolio; a luglio, una petroliera britannica era stata sequestrata dalla guardia rivoluzionaria con l’accusa di aver violato le leggi marittime internazionali.
Figura 1 - Giacimenti petroliferi e di gas colpiti dagli attacchi
Fonte: Oxford Economics
L’escalation era iniziata l’8 maggio del 2018 con la decisione degli Stati Uniti di ritirarsi dall’accordo sul nucleare siglato nel 2015 reintroducendo al contempo le sanzioni contro Teheran. Gli effetti sull’economia dell’Iran sono stati significativi e aggravati dall’abrogazione – lo scorso 2 maggio – delle esenzioni sul greggio iraniano che permettevano ad alcuni Paesi di continuare ad acquistarlo. Tale decisione è alla base del crollo delle esportazioni petrolifere di Teheran dai 2,5 milioni di barili al giorno dell’aprile 2018 (prima del ritiro statunitense dall’accordo) ai circa 100mila dello scorso luglio. Il FMI prevede una contrazione del Pil del 9,5% nel 2019, dopo il già netto calo del 4,8% registrato lo scorso anno. L’inflazione intanto rimane su tassi sostenuti: ad agosto il paniere di beni ha registrato un rincaro del 41% su base annua. Ne consegue che le opportunità per le imprese italiane si sono fortemente ridotte: l’export Made in Italy verso l’Iran è stato pari a 547 milioni di euro nei primi otto mesi dell’anno, in calo del 50% rispetto allo stesso periodo del 2018. In questo contesto l’Unione Europea ha intrapreso alcune azioni sia per continuare a coinvolgere l’Iran nell’accordo sul nucleare, sia per sostenere gli scambi commerciali tra i Paesi membri e Teheran con la creazione di INSTEX (“Instrument in Support of Trade Exchanges”) – un meccanismo che consente alle imprese europee e iraniane di commerciare nonostante le sanzioni, operando al di fuori del sistema dei pagamenti internazionali; il suo ambito di applicazione tuttavia è stato inizialmente limitato a garantire le transazioni di prodotti utili al sostentamento primario della popolazione iraniana e non direttamente colpiti dalle sanzioni di Washington (quali quelli farmaceutici e agricoli, nonché i dispositivi medici).