Articoli 21 luglio 2016

POLONIA

Recesja – recessione – è una parola che in Polonia non si usa più da molto tempo. Il Paese, che ventisette anni fa usciva malconcio dalla caduta del regime comunista, sembra vivere oggi, a detta di molti, qualcosa di molto simile a quello che ha vissuto l’Italia negli anni Sessanta. Senza usare il termine ormai iper-inflazionato di “miracolo economico”, possiamo citare il titolo di un recente articolo dell’“Economist” L’Età dell’oro della Polonia. E la similitudine non sembra del tutto infondata.

 

L’ottava economia dell'Unione Europea continua a marciare con un passo fuori del comune. Basta guardare i numeri. Tra il 2008 e il 2015 il Pil nominale in euro dell'Unione Europea è cresciuto del 7,4%, quello della Polonia è salito del 40% (nominale in zloty, valuta ufficiale polacca), restando sempre positivo anche nei momenti più feroci della crisi finanziaria. Per quest'anno il copione non cambia. Se per l'Unione, secondo le previsioni di Bruxelles, la crescita reale è attesa intorno all’1,8%, Varsavia potrebbe archiviare il 2016 a un +3,7%.

 

Insomma la Polonia viaggia a un buon ritmo e gli ingredienti di questa crescita sono facilmente riconoscibili.

L’economia polacca presenta molti punti di forza: una solida base industriale, soprattutto nella meccanica, nell’aeronautica e nell’automotive; un mercato finanziario in continuo sviluppo; un’ottima capacità nell’assorbimento e nell’utilizzo dei fondi europei, così come degli innegabili vantaggi geografici rappresentati dalla vicinanza con la Germania, da una parte, e con la Russia dall’altra; infine, un quadro legislativo attraente e competitivo. Non a caso, la Polonia si posiziona al 25° posto nella classifica di Doing business della World Bank (l’Italia è al 45°). Una spinta decisiva all’economia polacca arriva senz’altro dalle quattordici zone economiche speciali che offrono un bel pacchetto di incentivi: da un regime fiscale conveniente a una burocrazia semplificata. La Germania resta il maggiore investitore estero con un stock di oltre 28 miliardi di euro, invece l’Italia viaggia al sesto posto con 9,3 miliardi. Nel Paese sono presenti non solo i grandi nomi dell’industria italiana – come Fiat (in Polonia dal lontano 1921), Brembo, Ferrero, Finmeccanica, Astaldi e Salini-Impregilo – ma anche un buon numero di Pmi, spesso nel ruolo di fornitori, per un totale di circa 1500 imprese italiane. Non bisogna però farne solo una questione di competitività di costi. La Polonia è in grado di offrire molto di più. Tra i suoi punti di forza c’è senz’altro il sistema universitario, funzionale al mercato del lavoro e in grado di sfornare ricercatori con un’alta formazione. È per questo che società come Samsung, Siemens, Google, Generale Electric e Ibm hanno aperto centri di ricerca nel Paese.

 

E per quanto riguarda il nostro export? La Polonia, con quasi 11 miliardi di euro (+5,2% nel 2015), rappresenta la prima destinazione italiana nell’Europa emergente e manterrà la sua importanza anche nei prossimi anni – +4,1% in media l’anno – fino a raggiungere 12,8 miliardi di euro nel 2019. Gli investimenti, sia infrastrutturali sia edili, traineranno in particolare la domanda di mezzi e materiali per le costruzioni e quella per interni e arredamenti, mentre l’appetibilità delle zone economiche speciali fungerà da calamita per nuove localizzazioni produttive e non. Molti i settori di opportunità per l’export italiano: dalla produzione di mezzi di trasporto, alle infrastrutture, dagli apparecchi elettrici alla chimica.

 

Ovviamente non c’è rosa senza spine e almeno tre appaiono le sfide più importanti del Paese dell’Europa nord-orientale. La prima riguarda il comparto energetico. Se sul fronte del gas lo stretto legame con la Russia presenta non poche problematiche, altrettanto preoccupante è la questione della dipendenza dal carbone. Ridimensionare o chiudere il settore minerario, non è solo una questione economica ma soprattutto sociale: i minatori, ben 500 mila, sono sul piede di guerra per via dei propositi di chiudere i giacimenti.

 

La seconda sfida riguarda la posizione della Polonia nella Catena Globale di creazione di valore aggiunto. Gran parte del successo del Paese è dovuto al contributo decisivo dei fondi europei. Ma cosa accadrà nel 2026, quando scadranno i benefici concessi alle zone economiche speciali, che hanno contribuito alla spinta del Pil e alla creazione di posti di lavoro? Il governo polacco si troverà di fronte alla sfida non facile di mantenere alti gli investimenti esteri e di non trovarsi di fronte a un deflusso dei capitali.

 

Infine, l’annosa questione dell’adozione dell’euro. La Polonia, secondo il trattato di adesione all’Unione Europea, è obbligata a dotarsi della moneta unica. Se prima della crisi dell’Eurozona oltre la metà dei polacchi vedeva con favore l’adesione alla moneta unica, oggi, stando ai sondaggi, circa il 70% resta affezionato allo zloty.

Sono tanti quindi i nodi da sciogliere nel prossimo futuro per la Polonia. Gli economisti di tutto il mondo stanno a guardare, da come il Paese saprà affrontare queste sfide, si capirà se si confermerà nel ruolo di locomotiva dell’Europa dell’Est.

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